Il 1974 è ormai distante nel tempo e nella memoria, eppure qualcosa del clamore di quei bei giorni m’è rimasto impresso. Del resto allora il sogno “di una (lunghissima) notte di mezz’estate” era diventato realtà: Oristano finalmente aveva ottenuto – dal Parlamento! – il “diritto” di essere la quarta provincia della Sardegna, accanto a Cagliari, Sassari e Nuoro. Un importante e atteso riconoscimento per la città e per il territorio tutto, che in quei momenti di euforia politico-campanilistica, davvero sembrava essere l’anticamera di una poderosa ascesa economico-sociale, per la quale le premesse certo non mancavano. L’Oristanese infatti era (!!!) un territorio molto attivo e operoso, e il suo capoluogo ospitava diverse industrie di un certo rilievo, legate soprattutto all’economia locale, che davano lavoro e prospettive. Inoltre stava per essere ultimato il grande porto industriale, fiore all’occhiello di un’idea di sviluppo che sembrava guardare avanti proprio dando questo indispensabile complemento infrastrutturale a tutto l’apparato produttivo della Provincia e non solo.
Purtroppo tutti sappiamo bene com’è andata a finire, per colpe esterne ma anche per gravi demeriti nostri, di chi ci ha rappresentato – spesso male! – a Cagliari e a Roma, di chi ci ha amministrato, ma soprattutto di tanti fra noi che hanno preferito fare sempre i mori bendati per non vedere, per non guardare, per non giudicare e, magari, provare ad intervenire. L’Oristanese oggi è un territorio in eterna crisi, in perenne notte, senza prospettive, forse senza futuro; e Oristano appare sempre più una città “vecchia” a misura di “vecchi”!
Ecco perché oggi quel 16 luglio 1974, giorno in cui fu approvata la legge 306, pubblicata nella GU n. 205 del 5 agosto successivo, sembra tanto, tanto lontano, così lontano che quasi a nessuno è venuto in mente di ricordarlo. Lo stesso Ente provinciale di Oristano, in sordina, ha organizzato qualche incontro, poco pubblicizzato, quasi clandestino. Eppure dal 1974 ad oggi ci sono stati – come ricorda il sito web della Provincia – ben “12 presidenti, due commissari e 250 cittadini che hanno ricoperto il ruolo di assessori e consiliari provinciali, una vera e propria palestra che ha formato 50 sindaci e una ventina di parlamentari eletti alla Camera dei Deputati e nel Consiglio regionale”. Una palestra, che però non ha tirato su molti campioni, evidentemente per carenza di istruttori bravi! Magari sarebbe servito un qualche onorevole Zeman o Mourinho.
Così il 25 luglio nell’aula di via senatore Carboni davanti a pochi intimi, tra cui alcuni amministratori del passato, il professor Omar Chessa e l’ex presidente della Provincia, Gian Valerio Sanna hanno trattato l’interessantissimo e attualissimo tema “Quale futuro per il Governo dell’area vasta?”. Già, quale futuro? Le Province, insieme al Senato, sono finite sul banco degli imputati di un processo riformistico, confuso e opaco, necessari capri espiatori di una generale quanto grave inefficienza politico-amministrativa, durata per decenni nell’indifferenza generale, e che continua quasi indisturbata nonostante i proclami di vecchi e nuovi tribuni urloni. Del resto un sistema ipertrofico quale quello politico-burocratico italiano – e sardo, ovviamente! – , con innumerevoli rami, “bracci”, collegamenti appendici ecc. ecc., che coinvolgono direttamente o indirettamente milioni di persone, non si può cambiare dall’oggi al domani, men che meno se non si ha un vero progetto alternativo, condiviso e basato su scelte ed obiettivi chiari e su tempi certi. Ma niente di tutto questo la politica italiana e sarda elabora e produce! Si va avanti con annunci sensazionali, spot, titoloni, qualche brusio più da parte di “laudatores temporis acti” che di veri e sinceri riformisti, che vogliano fare le cose per bene, senza patti del Nazareno e affini.
L’auspicio per la Sardegna è che il processo di riforme segua percorsi altri rispetto a quelli nazionali.