Ieri, a sessant’anni esatti dalla sua scomparsa, è stato ricordato ALCIDE DE GASPERI, uno dei più famosi e prestigiosi politici italiani. Lo statista di Pieve Tesino fu il traghettatore dell’Italia nell’immediato secondo dopoguerra, uno dei momenti più difficili, dolorosi e travagliati della nostra storia unitaria. E fu anche fondatore e primo leader, per alcuni anni quasi incontrastato, di quella Democrazia Cristiana, che governò l’Italia per tutta la prima repubblica, venendo poi cancellata – almeno come nome – a seguito dei “rivolgimenti” esterni ed interni del triennio 1989-1992.
Amato, temuto ed odiato come tutti i “grandi” della politica, De Gasperi è una figura insieme importante e controversa della nostra storia. Ovviamente i suoi “apologeti” tendono a esaltarne le indubbie doti, arrivando ad individuare nella sua visione politica e della politica (nazionale ed internazionale) prospettive quasi profetiche, mentre i detrattori soprattutto quelli a lui contemporanei – erano gli anni del volutamente feroce confronto politico-elettorale tra la DC e i ”frontisti” di sinistra – non mancarono di iniziativa nel tentativo di demolirne persino l’immagine personale. Da sinistra ma anche da destra. Famoso in questo senso fu uno dei più celebri e discussi casi giudiziari di quel dopoguerra: il processo De Gasperi – Guareschi, conclusosi nell’aprile del 1954 con la condanna del noto giornalista e scrittore ad un anno di carcere per diffamazione. Guareschi finì nei guai per aver pubblicato, sul “Candido”, due lettere, una vergata a mano l’altra dattiloscritta, datate gennaio 1944 e attribuite proprio a De Gasperi, dove si chiedeva agli Alleati di bombardare Roma. De Gasperi reagì immediatamente e tramite il suo legale, il professor Giacomo Delitala, sassarese, docente di penale nelle Università di Camerino e Milano, denunciò Guareschi, che fu condannato e incarcerato a Parma, dove rimase 406 giorni, senza presentare appello né chiedere la grazia. Evidentemente, dietro tutto ciò si giocavano partite ben più importanti, che non riguardavano solo il leader democristiano, le cui fortune politiche peraltro erano declinanti, e la sua politica “centrista” e delle quali tanto De Gasperi quanto Guareschi furono vittime. Infatti quelle missive erano parte di un grosso faldone di carte, dove c’era anche il famigerato epistolario Mussolini-Churchill, all’epoca nuovamente in sella al governo britannico. Il “proprietario” del falso incartamento era poi quell’Enrico De Toma, figura ambigua, ex ufficiale della GNR rimasto legato al mondo della destra postfascista, che raccontò di aver ricevuto dallo stesso Duce l’incarico di recuperare il dossier e di portarlo al sicuro in Svizzera, da dove poi si decise a tirarlo fuori – guarda un po’!? – proprio in quel momento. Anche ai nostri giorni ogni tanto qualcuno “tira fuori” a sproposito quei … “documenti”, come è accaduto solo due anni fa, quando, a Trento, in occasione della Seconda giornata dell’Autonomia, sono stati attaccate alle vetrate della porta della sede della Provincia due fotocopie proprio di una delle famigerate lettere. In attesa dell’uscita dell’ultima fatica di Mimmo Franzinelli, che promette di fornire nuovi importanti documenti su questa intricata vicenda spionistico-giudiziaria, ecco due interessanti articoli: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/guareschi-de-gasperi-l’ombra-dei-servizi.aspx;
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/1006825.html .
Ma com’erano la Democrazia Cristiana e l’azione politica volute attuate dal grande leader? Ecco come le vede SILVIO LANARO, uno dei maggiori studiosi italiani di storia contemporanea. Di formazione marxista, docente a Padova, Lanaro, scomparso un anno fa a soli settant’anni, è stato storico molto acuto e molto attento nell’individuare criticamente una sorta di continuità in tutta la nostra storia nazionale; una continuità che ha sempre bloccato possibili sbocchi veramente alternativi del nostro percorso politico-istituzionale. E infatti la sua lettura del degasperismo, certo discutibile, appare comunque alquanto lontana da quell’acritica vulgata, spesso proposta all’opinione pubblica. Ecco un brano da una delle opere più note dello studioso scledense, la “Storia dell’Italia repubblicana”:
“… La Democrazia cristiana non deve preoccuparsi di educare l’elettorato, di trasmettergli valori ed identità, di fornirgli un apparato di integrazione simbolica, perché a tutto ciò provvede la chiesa tramite le organizzazioni laicali che governa direttamente: al partito tocca soltanto tradurre in cifra legislativa e amministrativa – bloccando le controtendenze che provengono dall’interno del sistema politico – le aspirazioni a una società innervata nei suoi gangli vitali dal cristianesimo romano. Di conseguenza il suo segretario non è – come vorrebbe Pietro Scoppola – l’uomo che con sagaci accorgimenti riesce a trasbordare sulle rive della democrazia un mondo cattolico ancora largamente pervaso da umori ierocratici e dal intolleranze sanfediste; è piuttosto colui che garantisce a un disegno di restaurazione – di cui non contesta neppure le virgole, dal punto di vista dei traguardi ideologici – il sistema di compatibilità interne ed internazionali e la gradualità di realizzazione senza le quali diventerebbe solo il fomite di una cruenta guerra di religione.
Gli aspri dissidi con lo stesso Pio XII – attestati da un carteggio irto di scatti, aldilà delle espressioni di deferenza filiale – vertono sempre sulla consistenza e sulla pericolosità delle controtendenze: De Gasperi desidera che le scelte inerenti alla legalità e allo stato democratico siano condivise dall’arco di forze più ampio possibile, per poter poi esercitare i diritti della maggioranza – e quale maggioranza! – senza essere accusato di atteggiamenti dittatoriali; esorta a non sottovalutare l’importanza degli organi di stampa, delle banche e delle società finanziarie controllate dai laici, che influiscono ancora sulla vita economica e sull’orientamento dell’opinione pubblica; sollecita alla diffidenza verso monarchici e neofascisti, che se si comportano da portatori d’acqua della Democrazia cristiana favoriscono la propaganda comunista e imbrattano irreparabilmente la rispettabilità del “partito cristiano”.
Che il suo disaccordo con il Papa sia circoscritto a questioni di opportunità, soprattutto relative ai rapporti del mondo cattolico con l’esterno, è provato dal fatto che nella sua qualità di segretario dipartito egli non respinge mai il contributo alle campagne elettorali degli integristi più invasati: si tratti di Luigi Gedda, i cui Comitati civici trasformano il terrorismo psicologico in merce corrente della lotta politica, o del “microfono di Dio” Riccardo Lombardi, che con le sue roventi orazioni evoca scenari apocalittici per mettere in guardia gli ascoltatori contro le infamie del comunismo; e altrettanto significativo è che nella sua qualità di capo del governo egli non si opponga alla sovradeterminazione dei principi concordatari – che configurano l’insegnamento della dottrina cattolica come fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica – <<attraverso i programmi, il controllo dei libri di testo, la selezione dei quadri direttivi delle scuole, la pratica dei riti religiosi collettivi>>, e tanto meno contrasti la persecuzione strisciante dei culti acattolici, le scandalose esenzioni fiscali accordate agli enti ecclesiastici, le sovvenzioni illecite alla scuola privata, le applicazioni estensive della norma sul vilipendio alla religione di stato, <<l’attenzione posta dai tribunali a non aprire brecce nella legislazione matrimoniale, la frenetica attività della censura cinematografica, teatrale, radiofonica e più tardi televisiva […] l’occhiuta vigilanza sui contenuti più o meno offendenti il “comune senso del pudore” delle pubblicazioni, dell’abbigliamento e del divertimento>>”.