L’ASSURDA SITUAZIONE DEL NOSTRO PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO: UN ESEMPIO SARDO [ADRIANO SITZIA]

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L’ultimo numero di “Archeologia Viva” (n. 167, settembre-ottobre 2014) contiene tra le altre cose un articolo (pp. 28 – 40) dell’archeologa M. Ausilia Fadda su “Il sacro Monte di Nurdole”, importantissimo complesso nuragico in territorio di Nuoro al confine con Orani. Questo sito dal lunghissimo percorso storico -gli inizi della frequentazione umana risalgono almeno alla metà del III millennio A. C., in piena età del rame – posto sulla sommità di un rilievo alto oltre 700 m, ospita dalla metà del II millennio a. C. un grande nuraghe a pianta quadrilobata (torre centrale circondata da 4 torri laterali), a guardia delle vie utilizzate in quelle zone per le transumanze. La sua principale caratteristica risiedeva nella presenza, nonostante la rilevante altezza, di una eccellente e ricca fonte d’acqua, che ben presto assunse carattere sacro. E, infatti, alcuni secoli dopo il nuraghe divenne un santuario, per molto tempo frequentatissimo, come inequivocabilmente mostrano i tantissimi ex-voto rinvenuti in loco. Gli studi, peraltro iniziati meno di trent’anni fa, hanno tra le altre cose portato al rinvenimento di diverse tracce (motivi decorativi e modelli iconografici, oggettistica ecc.) che rimandano direttamente o indirettamente al Mediterraneo orientale e, addirittura, ad una ipotizzata presenza filistea in quel luogo a cavaliere tra il II ed il I millennio a. C.
Tuttavia insieme al dato storico, dall’articolo emerge anche un “triste” dato d’attualità: lo stato del monumento. Infatti l’autrice, detto che le esplorazioni “ufficiali” del nuraghe a partire dal 1987 fecero seguito a “ripetuti saccheggi … con cui sono state messe le mani su un deposito archeologico ricchissimo e fondamentale per la storia della Sardegna (tanti pezzi sono confluiti in prestigiose collezioni private straniere) …”, così conclude l’articolo: “Tuttavia, le ripetute devastazioni di cui il sito è stato oggetto hanno costretto la Soprintendenza … a RICOPRIRE L’AREA GIA’ SCAVATA IN ATTESA CHE SI CREINO LE CONDIZIONI PER RENDERLA VISITABILE”. Già, proprio così “in attesa che si creino le condizioni”!!! A parte il fatto che queste condizioni non si creano da sole ma andrebbero “create” da qualcuno, un’affermazione tanto scoraggiante, in un paese normale, avrebbe dovuto sollevare subito l’opinione pubblica. Ma siamo in Italia, paese assai “particolare”, dove a volte domina l’assurdo, cioè proprio ciò che è contrario all’evidenza logica. E infatti, pur ospitando un vero e proprio gigantesco museo della civiltà mondiale, il nostro governale ha sempre preferito dirigere la prua, quanto meno inopportunamente, in altre direzioni.
Del resto la solita litania della carenza di risorse finanziarie – dato certo innegabile soprattutto di questi tempi – non potrà mai spiegare quello che appare perlomeno un lassismo storico nei confronti del nostro inestimabile patrimonio artistico. E a risollevare lo stato delle cose non può neppure bastare il finora esecrato intervento privato, rispolverato attraverso il cosiddetto “Art Bonus” (detrazione del 65 % di qualunque erogazione liberale fatta per il recupero/restauro ecc. di monumenti, opere d’arte ecc.) dal neo-ministro Franceschini. Infatti i monumenti che cadono a pezzi, i restauri che durano secoli, le esplorazioni archeologiche in cento rate, migliaia di reperti, opere ecc. lasciati a riposare nei depositi di musei, pinacoteche …, la mancata valorizzazione di tanti beni archeologici e artistici, che ben altrimenti potrebbero arricchire tanto gli studiosi ed appassionati, quanto anche operatori turistici, e soprattutto dare ossigeno e posti di lavoro ad economie asfittiche come quella oristanese, non possono essere solo il risultato di bilanci da sempre troppo esigui e di investimenti sempre insufficienti. Probabilmente c’entra in qualche maniera una gestione troppo esclusiva e burocratica di questo immenso patrimonio.
La recente riforma proposta sempre da Franceschini sembra aver aperto qualche spiraglio in questo senso. Vedremo. Ma intanto appare chiaro che, se ogni monumento, opera d’arte ecc. è patrimonio dell’umanità, lo è innanzitutto e ancor di più di chi ci vive accanto, per cui una sua valorizzazione deve vedere un coinvolgimento diretto, attivo e, soprattutto, “vero” di queste comunità e, quindi, delle loro amministrazioni locali. Ovviamente con la speranza che queste ultime abbiano una vera, credibile politica culturale.
A proposito di politica culturale, qualcuno potrebbe illustrarci quella dell’amministrazione oristanese?