Sabato 21 marzo, Giornata mondiale contro le discriminazioni razziali, è stata anche la data scelta da OSVIC (Organismo Sardo di Volontariato Internazionale Cristiano) e MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) di Oristano per presentare in città il “Dossier statistico immigrazione 2014” e il “Rapporto immigrazione e imprenditoria 2014”. Quest’anno la sede dell’incontro era la sala conferenze della Camera di commercio cittadina. Una sede non casuale dal momento che il neonato rapporto sull’imprenditoria, è stato realizzato dal Centro studi IDOS (Immigrazione Dossier Statistico), proprio grazie alla fattiva collaborazione dell’Unioncamere e della CNA, a Oristano guidate entrambe dal dottor Pietrino Scanu. L’illustrazione dei rapporti è stata introdotta dal saluto della presidentessa dell’OSVIC, Maria Colomba Cabras, che, ricordando l’importante lavoro svolto dalla sua organizzazione nell’ambito della cooperazione internazionale a favore dei paesi più poveri, ha voluto sottolineare la necessità di sfuggire alle paure e alla superficialità di certe prese di posizione, proprio attraverso una precisa conoscenza del fenomeno immigratorio, che consenta anche di apprezzarne i vantaggi ed il suo contributo positivo.
La moderatrice dell’incontro, Luisanna Usai, responsabile del MEIC, ha altresì sostenuto che di fronte al “bombardamento mediatico-propagandistico” della collaudata ricetta di dare in pasto ad un’opinione pubblica, allarmata e nervosa per la grave crisi, il capro espiatorio della pericolosità altrui, “solo un’adeguata e puntuale conoscenza può portare alla presa di coscienza della portata e della complessità del fenomeno, e, conseguentemente, a risposte legislative e sociali opportune, puntuali e valide”.
A Franco Pittau, coordinatore del comitato che ha realizzato il “Dossier statistico sull’immigrazione” e curatore, insieme a Maria Paola Nanni, del “Rapporto immigrazione e imprenditoria”, è toccato l’arduo compito di fornire in un tempo limitato uno spaccato per quanto possibile completo dell’immigrazione in Italia. E lo ha fatto partendo dall’idea che “all’opinione pubblica bisogna dare messaggi semplici e comprensibili e non discorsi dotti e complessi da professoroni”; e insieme, dati certi e certificati, ufficiali e controllati, dunque non contestabili, come invece i tanti, troppi numeri che si sentono in giro. Questo per evitare il pericoloso fenomeno che Papa Francesco ha definito “globalizzazione dell’indifferenza” e che si manifesta già nel fatto che, se gli immigrati hanno ormai superato nel mondo la soglia annua dei 200 milioni/anno, la capacità di inquadrare questo fenomeno sta invece diminuendo e restringendo le sue vedute. “Spesso – ha proseguito Pittau – ci si pone la domanda: Ma perché non se ne stanno a casa loro? La corretta conoscenza dei dati fornisce una risposta chiara: perché nel mondo il rapporto popolazione-ricchezza è ripartito molto male: nei paesi “benestanti”, dove cioè si concentra il 50 % della ricchezza mondiale – anche se con forti squilibri interni! – vi abita solo un sesto di tutta la popolazione mondiale, mentre gli altri cinque sesti si dividono il restante 50 % di ricchezza, spesso con redditi giornalieri pro capite di 1 o 2 dollari! Ecco perché, nonostante la gravissima crisi economica di questi anni, il movimento migratorio, pur con una flessione, si è mantenuto su livelli molto alti, con un aumento di 3,6 milioni/anno rispetto per esempio ai circa 2 milioni/anno di fine secondo millennio”. Si tratta dunque di un fenomeno strutturale che nei decenni futuri continuerà in maniera massiccia. “Se facciamo un semplice calcolo – ha aggiunto Pittau – ce ne rendiamo subito conto: oggi nella poverissima Africa ci sono 1,2 miliardi di persone. Nel 2050 si stima che non saranno meno del doppio. Allora crediamo davvero che nel giro di qualche decennio in questo continente ci sarà anche il doppio di posti di lavoro?”.
Per quanto riguarda l’Italia, Franco Pittau ha insistito sull’inversione di tendenza storica che ci ha riguardato: infatti da paese di emigranti, con oltre 30 milioni in 150 anni, con almeno 70 milioni di discendenti più o meno italofoni attualmente nel mondo (in particolare in Argentina, Brasile – a San Paolo l’80 % degli abitanti è di origine italiana – e USA), dopo il 1970 è pian piano diventato metà di immigrazione, soprattutto per alcuni popoli come i Rumeni (più di un milione), gli Albanesi (oltre mezzo milione), i Marocchini (anch’essi più di mezzo milione), i Senegalesi, i Filippini, i Tunisini, gli Ucraini e i Moldavi, i Macedoni, i Cinesi, gli Indiani, i Bangladesi, i Pakistani ecc. Tra l’altro in Italia risiede un terzo degli Albanesi nel mondo, un quinto dei Rumeni, un sesto di Senegalesi, Moldavi e Tunisini. “Dunque – secondo lo studioso – l’Italia per questi popoli non è solo un posto qualunque dove andare, ma un vero e proprio punto di riferimento, cosa che può diventare un nostro investimento per il futuro”.
Attualmente gli immigrati regolari sono circa 5,2 milioni, per la maggior parte nel centro-nord, mentre solo un sesto sta nel Meridione. Cominciano ad esserci casi di centri con fortissima presenza di immigrati. Tra essi Pittau ha ricordato Baranzate, nella cintura milanese, dove oltre un terzo degli abitanti è straniero e che è stato oggetto di un importante studio, da cui il volume “La frontiera dell’immigrazione. Dinamiche geografiche e sociali, esperienze per l’integrazione a Baranzate”, curato da Guido Lucarno, docente di geografia economico-politica al Sacro Cuore di Milano. Questa distribuzione dell’immigrazione è direttamente collegata alla situazione economica del Paese, da sempre e ancor di più oggi, diviso in due: un Nord industriale e ricco, dove dunque è molto più facile trovare lavoro, e un Sud – isole comprese – povero. Così gli immigrati in Sardegna costituiscono il 2,5 % della popolazione (42000 su 1,65 milioni), in Lombardia l’11,3 %, in Veneto il 10,3. L’immigrazione irregolare, quella che solleva molto allarme sociale, sempre sfruttato politicamente, invece non sarebbe superiore alle 300000 unità, in forte calo rispetto al passato.
Per ciò che riguarda poi i posti di lavoro “rubati”, come dice qualcuno, dagli immigrati, Pittau ha ricordato che in gran parte si tratta di impieghi che noi ormai rifiutiamo. Del resto, “chi viene da fuori ha maggiore propensione sia alla mobilità, sia ad accettare impieghi di livello anche molto inferiore al proprio grado d’istruzione, anche perché in caso di perdita del lavoro è costretto a trovarne subito un altro, pena la cessazione del diritto di soggiorno”.
Pittau ha poi toccato il tasto delle falsità politico-propagandistiche che si sentono in giro a cominciare, dalle promesse quote di ingressi che non esistono perché la normativa europea non le prevede. Allo stesso modo non si può vietare il ricongiungimento familiare, anch’esso sancito dalla normativa europea, così come, per quanto riguarda il diritto di asilo politico, non lo si può rifiutare se è stato concesso, in forza della Convenzione di Dublino del 1990, come integrata nel 2003, da uno qualunque degli altri stati membri dell’Unione, più la Svizzera. Infatti, tra le altre criticità di questo regolamento, c’è anche la distribuzione ineguale delle richieste d’asilo tra gli Stati firmatari a tutto svantaggio di quelli di confine dell’UE, tra cui l’Italia, dove peraltro a fronte di oltre 500000 rifugiati riconosciuti dal dopoguerra ad oggi, solo 90000 vi sono rimasti.
Pittau ha concluso il suo intervento auspicando una maggiore attenzione e una migliore capacità d’intervento a favore di chi viene da noi come ospite, perché “quando noi lo trattiamo in maniera egualitaria, lo stesso poi avrà a cuore le sorti del nostro Paese tanto quanto noi”!
L’intervento del Presidente della Camera di Commercio Pietrino Scanu ha invece riguardato l’aspetto eminentemente economico del fenomeno immigratorio. In particolare Scanu ha sottolineato la costante crescita in Italia del numero di imprese gestite da stranieri, in decisa controtendenza rispetto all’andamento negativo per quanto riguarda le nostre imprese, per le quali la mortalità supera sempre le nuove “nascite”. Così nel periodo 2011-2013 il numero delle ditte di immigrati è cresciuto del 9,5 %, rispetto al – 1,6 % delle italiane. Tendenza questa confermata anche dai dati sardi e oristanesi, pur se con numeri più ridotti. Infatti, per quanto riguarda Oristano, nel 2014 le imprese di immigrati sono 432, rispetto alle 391 del 2011. La distribuzione per settori vede, come atteso, dominare il commercio con ben 254 imprese (il 58,8 % del totale), seguito però dall’agricoltura con 56. Solo al terzo posto le costruzioni, che invece nel resto del Paese raggiungono sempre il secondo posto, con percentuali consistenti. “Questo dato – ha sottolineato Scanu – riflette esattamente il rilevante peso che l’agricoltura ancora ha nel nostro territorio, con il 32 % delle imprese registrate, secondo posto in Italia dopo Trapani, ma anche l’oggettiva debolezza del tessuto imprenditoriale per quanto riguarda l’industria – quasi assente – e lo stesso turismo”.
Per quel che concerne invece la densità imprenditoriale, Scanu, pur rimarcando che questa è paragonabile al dato nazionale, ha però rilevato che “si tratta quasi esclusivamente di imprese individuali, così come del resto la stragrande maggioranza di quelle del territorio. Questo è dovuto ancora una volta alla debolezza strutturale dell’Oristanese, carente dal punto di vista delle infrastrutture e soprattutto privo di veri e propri poli economici, ad eccezione di alcune grosse realtà legate all’allevamento”.
Circa la provenienza geografica degli imprenditori stranieri, al primo posto vi sono i Marocchini, seguiti dai Cinesi e dai Senegalesi. Al quarto posto gli Svizzeri, probabilmente figli di nostri connazionali tornati a casa.
Come leggere questa mole di dati? Scanu lo fa positivamente: “La crescita del numero di imprese legate ad immigrati – secondo il Presidente della locale CamCom – riflette da parte di questi ultimi una ricerca di inserimento e una voglia di legalità, di operare alla luce del sole, probabilmente guardando al futuro proprio e della propria famiglia, che vanno aiutate e sostenute. E qualcosa in questo senso noi la stiamo già facendo”. Ma Scanu non ha nascosto le difficoltà, generali (lingua, burocrazia, che spaventa anche gli italiani, ecc.) e specifiche di un territorio, come quello oristanese, “che non riesce a trovare una sua via di sviluppo, neppure in settori, come quello turistico, ai quali sarebbe naturalmente votato”.