Oggi qualcuno si sta nuovamente chiedendo se l’Italia è una democrazia oppure un “regime”. Non mancano infatti oggettive preoccupazioni rispetto al treno di “trasformazione istituzionale” e di accentramento politico-amministrativo ed economico-finanziario, che, stazione dopo stazione, compie il suo tragitto, scortato soprattutto dall’indifferenza generale e da una classe politica, che, ad esser “diplomaticamente” buoni, prende sempre e troppo sul serio il “carpe diem” oraziano!
E’ questo un quesito che più volte, in altri momenti della nostra ancor breve storia repubblicana, ha fatto capolino soprattutto nelle menti di coloro che avevano a cuore la crescita innanzitutto di una coscienza individuale e, poi, collettiva della necessità di tutela e di valorizzazione di una “merce” tanto preziosa qual’è la democrazia. Una “merce” che, se mal adoprata o trascurata dai cittadini, ridotti(si) a meri distratti spettatori o a semplici comparse, dopo poco tempo “scade”, ammuffendo negli scaffali della vuota ritualità, subito sostituita da ingannevoli simulacri istituzionali, partitici o elettorali, come le primarie PD, dove non si decide ma – e soltanto – si ratifica ciò che i soliti pochi hanno deciso. In queste ultime settimane “L’Espresso” sta pubblicando una serie di interessanti volumi in occasione dei suoi sessant’anni di vita, nei quali ripercorre le tappe più importanti di questo lasso di storia, attraverso la riproposizione di suoi storici articoli, flashback di una memoria diventata ormai patrimonio di pochi. Ora nel libro dedicato agli anni 1970-74, “L’ora dei diritti civili”, viene ripresentata un’intervista, datata giugno 1972, a due notissimi “intellettuali” – come allora si chiamavano – della sinistra europea, uno francese, Jean-Paul Sartre, e l’altro italiano, Alberto Moravia Pincherle, che, fra l’altro, dell’Espresso fu a lungo collaboratore con la sua notissima rubrica di critica cinematografica. Rispondendo ad una domanda sull’eventuale ritorno di un fascismo “partito di massa”, Sartre così si espresse: “Il fascismo è l’autorità dell’altro, essenzialmente l’autorità dittatoriale, legata ad un partito di massa che deve servire da intermediario tra l’alto e il basso. E’ impossibile concepire adesso un simile partito in Francia. Non ci sono gli elementi. Ma c’è un’altra forma di dittatura, che è altrettanto forte della dittatura fascista senza tuttavia essere così visibile, e senza adoperare gli stessi mezzi. Il partito fascista,organo di una parte delle masse, era un organo di repressione aperta: distruggeva il negozio di un ebreo, maltrattava gli operai comunisti oppure si accertava che tutti, nella vita privata, obbedissero. Oggi non c’è più bisogno di tutto questo, le cose avvengono diversamente. Esteriormente si conservano le vecchie forme della democrazia borghese, ma del tutto esteriormente. Per prima cosa l’Assemblea non ha alcuna funzione. Viene eletta da una maggioranza conservatrice, che oggi è il partito Udr, e appena eletta da le dimissioni, cioè abbandona i poteri che sotto la Terza Repubblica le assemblee almeno avevano. SI LIMITA A VOTARE REGOLARMENTE QUELLO CHE PROPONE IL CAPO DEL PARTITO, CHE E’ ANCHE IL PRIMO MINISTRO, e di conseguenza non ha più in mano i centri decisionali. Quindi NON E’ PIU’ UNA DEMOCRAZIA. E allora la SCIOCCHEZZA E’ VOTARE, E’ MANDARE AL POTERE UNO DEI PARTITI LEGALI”. Domanda: ma Sartre sta parlando dei primi Anni 70 o di oggi!? A questo proposito risulta altrettanto interessante e stimolante quanto sull’eventuale ritorno del fascismo, aggiunge il nostro grande romanziere romano, evidentemente buon conoscitore dell’animo italico: “Penso come Wilhelm Reich (“Psicologia di massa del fascismo”) che mentre il socialismo esiste da meno di due secoli, il fascismo, come smania di sottomissione dell’uomo all’autorità, è vecchio di seimila anni. Così il pericolo fascista è sempre attuale. In Italia tuttavia le soluzioni fasciste tradizionali (di tipo mediterraneo) sembrano almeno per ora poco probabili. Direi che c’è maggiore possibilità di un tentativo autoritario di tipo europeo e questo perché l’Italia del 1972 è un paese più complicato, più moderno e più ricco dell’Italia del 1922. Per conto mio credo che il massimo pericolo fascista risiede nell’INCAPACITA’ DELLE CLASSI DIRIGENTI DI ASSICURARE POSTI E POTERE A TUTTI I GIOVANI DELLE CLASSI MEDIE. A ben guardare all’origine della rivolta di destra c’è soprattutto un fatto di disoccupazione di quadri. Le generazioni sono troppo folte, l’avvicendamento al potere troppo lento e macchinoso. GLI IMPAZIENTI ALLORA IMBASTISCONO I COSIDETTI “MOVIMENTI” (parola molto espressiva) PER SBALZARE DAL POTERE QUELLI CHE CI STANNO E OCCUPARLO A LORO VOLTA”. In pratica, Moravia sembra spiegarci il senso più vero, più autentico ed originario, del “movimento rottamatore”, della “Leopolda” e di altre simili correnti agitatrici. Eppure sia Sartre sia Moravia si riferivano a quarant’anni fa! Allora è proprio vero: qui non cambia mai un c***!!!