DON PEPPINO MURTAS: “PER PASSIONE E MISSIONE” [ADRIANO SITZIA]

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Padre nostro che stai in mezzo a milioni di affamati, che stai nella vita di tutti gli uomini assetati di giustizia, …”, sono forse questi gli ultimi versi composti da don Peppino Murtas, vicino all’ultimo viaggio, ma fino all’ultimo preoccupato della sua “gente”, che tanto amava. Li ha citati proprio Carla Murtas, sua nipote, e curatrice, insieme a don Lucio Casula, del bel volume “Per passione e missione. Scritti inediti di don Peppino Murtas”, Soter Editrice/Progetto culturale CEI, presentato ieri sera al San Domenico, alla presenza di tante persone che hanno conosciuto don Peppino, hanno collaborato con lui a qualcuna delle sue tante iniziative, lo hanno stimato come sacerdote, come insegnante, come poeta, come scrittore, giornalista, organizzatore culturale e, soprattutto, come uomo. “Negli ultimi mesi – ha ricordato Carla Murtas – Peppino si faceva leggere spesso il Canto XI del Purgatorio, quello sulla superbia punita, che inizia anch’esso invocando il Padre nostro, che ne’ cieli stai, non circunscritto, e poi compose questa che è preghiera, che è poesia, rimasta inedita”. Ecco preghiera e poesia insieme. E “sacerdote e poeta” ha definito don Murtas l’arcivescovo Ignazio Sanna, ricordando i “Lunedì della Cattedrale” nella Quaresima 2012, dedicati proprio a quei grandi sacerdoti della diocesi che ci hanno lasciato con la loro attività, segni indelebili: De Castro, “politico e letterato”; Giuseppe Littarru, “amico di un grande Papa”; Pietro Carta, “educatore e maestro”; Raimondo Bonu, “storico arborense”; Felice Mastino, “apostolo della Provvidenza”, e, appunto, don Peppino Murtas, “sacerdote e poeta”. Citando Novalis, Mons. Sanna ha ricordato che “poeti e sacerdoti erano in origine una cosa sola”, perché “la poesia è necessaria alla fede, all’annuncio della fede” e, chiedendosi con  Karl Rahner, “dove sono mai i bei tempi nei quali i grandi teologi erano anche poeti e componevano inni”, ha concluso, come il grande teologo tedesco, che la teologia non è certo divenuta più sublime, ora che viene scritta in prosa.

Poeta e sacerdote era anche uno dei titoli a cui s’era pensato per il volume”, ha sottolineato nel suo intervento Monsignor Pietro Meloni, vescovo emerito di Nuoro, che con don Peppino Murtas collaborò in diversi momenti, a cominciare dal periodo della GIAC (la Gioventù di Azione Cattolica). Secondo don Lucio Casula, ordinario di teologia Sistematica alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, per don Murtas si deve parlare certo di “poeta e sacerdote” comprendendovi però anche la dimensione di “pastore ed educatore”. Pastore in grado innanzitutto di saper ascoltare la sua gente; educatore in grado di comprenderla e di farne propri i problemi, i drammi, di farsene carico sempre, ad ogni ora del giorno. Questa dimensione – ha ricordato lo studioso – si ritrova soprattutto in uno degli scritti inediti proposti nel volume, “Dalla palude di latte amaro”, degli anni, in cui don Murtas era parroco a Paulilatino (1953 – 1967), poi ritrovato, nel 2010, da Carla Murtas, chiusasi per scrivere la tesi, in quello che è stato l’ultimo studiolo di suo zio, nella casa di via Garibaldi, dentro una cartella ingiallita ma perfettamente ordinato. “Uno scritto che è un vero e proprio libro di storia” – ha proseguito don Casula – “in quanto offre uno spaccato della storia di Paulilatino nei grami anni del dopoguerra; una storia molto simile a quella di tanti altri comuni dell’Oristanese e della stessa Sardegna, fatta di miseria, disoccupazione, ingiustizie, rabbia, emigrazione, prime rivendicazioni, scioperi”. Nel libro ad essere protagonisti non sono i grandi avvenimenti, i grandi fatti storici, ma le “piccole storie” individuali, raccontate in prima persona dalla gente e da don Peppino raccolte e registrate “con rispettosa fedeltà”. Quegli “ultimi” di cui don Peppino fece lo scopo della sua vita, insieme alla sorella Sofia, con lui a Paulilatino, alla quale la nipote Carla, commossa, ha voluto dedicare simbolicamente il volume.

Che don Murtas non si sia mai risparmiato nelle battaglie per il progresso economico e sociale della sua gente, e della sua terra, lo ha efficacemente ricordato l’ex rettore dell’ateneo sassarese, Attilio Mastino, che lo conobbe molto bene e con il quale collaborò a più riprese. Mastino ha fatto particolare riferimento alle sue omelie, come quella pronunciata al porto di Oristano per la Pentecoste nel 1987: “Che questo porto non resti troppo grande e vuoto: diventi più vivo, più animato di traffici pacifici, diventi sorgente di lavoro che si moltiplica in continuità per i nostri giovani disoccupati, sempre più numerosi e sfiduciati. Sia fonte di nuova ricchezza per la povertà e la stanchezza di questa parte della Sardegna, benedetta da Dio, ma poco valorizzata da noi”. Parole stupende, e, purtroppo, ancor oggi – 28 anni dopo!!! – attualissime.

E’ stato forse proprio Attilio Mastino a dare di don Murtas la definizione più completa, quasi cumulativa: “intellettuale fortemente radicato nella realtà locale e sarda”. Definizione rafforzata da Mastino con una serie di interessanti paralleli culturali: il Gavino Ledda di “Padre padrone” e Fiorenzo Serra, grande documentarista degli Anni 50 e 60 (“L’ultimo pugno di terra” ecc.). E don Murtas fu – ha ben sottolineato lo storico – intellettuale vero, e, come tale, capace di essere controcorrente e scomodo. Infatti non può non sorprendere quella poesia datata 1980 e dedicata a “A P. P. Pasolini”: “Una voce impossibile, una voce scomoda un poeta in forma di rosa, un regista da censurare, una voce da far tacere una vita violenta …”, pensando, per esempio, al ben diverso tenore delle coeve parole scritte da un altro illustre sardo, Remo Branca, sulla tragica fine dello scrittore e regista bolognese. Così come risultano controcorrente i versi di “Aborto”, messi in bocca ad una donna sofferente per questo “martellante, allucinante incubo. L’ospedale tacerà”.

Ma tuo zio è davvero prete? Tante volte me lo sono sentita chiedere”, ha ricordato Carla Murtas, descrivendo l’incredulità dei ragazzi, dei suoi compagni, dopo aver incontrato per la prima volta lo zio. Ecco forse questa è la migliore chiusa per ricordare una bellissima figura di sacerdote, di educatore, e, soprattutto, di intellettuale, quale è stato don Peppino Murtas, “unico e straordinario, povero e altruista, amico di tutti”, come, all’indomani della scomparsa, lo definì, nelle colonne de “L’Unione”, Giorgio Farris, suo grande amico e collaboratore. Una figura, una personalità, peraltro, di cui oggi si sente fortissima la mancanza, in una realtà come quella oristanese dove il dibattito culturale, la riflessione politica sono marginali, quando non del tutto assenti, soffocati da una ormai indistinta, nauseante melassa pedestremente modaiola e convenzionale.