“Oristano da il bentornato alla politica!”: proprio a questo titolo avevo pensato a proposito della presentazione, ieri nella sala del Centro Servizi Culturali-UNLA di via Carpaccio, del libro “La truffa del debito pubblico”, uscito nel 2014 per DeriveApprodi. L’evento politico-culturale – ormai una rarità dalle nostre parti – è stato voluto ed orgnizzato dall’Associazione “Peppino Impastato” con la consueta disponibilità e collaborazione del direttore del CSC-UNLA Marcello Marras, ed ha visto protagonista lo stesso autore, il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. Con lui il giornalista Enrico Carta, che lo ha incalzato con una serie di domande su un tema fondamentale come quello del debito pubblico, che avrebbe dovuto e dovrebbe essere pane quotidiano del dibattito politico nazionale. Invece in Italia, proprio grazie alle mistificazioni propagandistiche della stessa politica, responsabile di questo macigno da 2.200 miliardi di euro (oltre il 130 % del PIL!), del debito pubblico i comuni mortali devono pensare che sia un dogma, un vero peccato originale, senza neppure la possibilità del battesimo “purificatore”! E’ vero o no che in tv e nella stampa viene spesso e ciclicamente raccontata la triste favoletta del povero neonato che, appena vien fuori dall’utero materno, si ritrova subito di fronte un esattore, che gli chiede di pagare 35000 euro? Perché? Boh!. Ma a chi li devo? Altro “boh!”, misteri non della fede ma della politica italiana.
Questa “colonizzazione dei cervelli”, come l’ha definita Ferrero, del resto è stata base indispensabile per la politica di macelleria sociale e di desertificazione economica, portata avanti dagli Anni ’90 in poi, e per la sua supina accettazione da parte della pubblica opinione. Il tutto ti si diceva per porre un freno a questo debito, nato per caso e cresciuto per ineluttabile destino! Il quale debito però, nonostante tutto (tagli, tasse, imposte, spending review, razionalizzazioni, risparmi, riforme varie ecc. ecc.), se n’è sempre impipato dei sacrifici degli italiani, continuando tranquillamente a crescere, perché si alimenta di se stesso! Poi ci si è messo pure l’euro e dopo l’euro questa strana madre, che di nome fa Europa, pronta a metterci in castigo o a bacchettarci perché non facciamo bene i compiti a casa! Il tutto nel silenzio generale della nostra politica, ma anche di un’opinione pubblica colpevolizzatasi a tal punto da accettare, compresa la sostituzione “d’ufficio” di un esecutivo eletto democraticamente con un governo “tecnico”!
Ma qual’è la tesi di Ferrero? L’ex parlamentare ha preso le mosse da una se vogliamo persino banale quanto ignorata constatazione: lo Stato italiano dal 1992, cioè dalla famosa finanziaria Amato da 90000 miliardi, è costantemente in avanzo primario (il totale delle entrate superiore al totale delle spese al netto degli interessi sul debito pubblico), cioè in attivo, con la sola eccezione del 2009! In attivo!? E di quanto? Un cifrone, più di tanti altri paesi europei cosiddetti “virtuosi”! Ma allora? Allora – ha sottolineato Ferrero – ad incidere sono gli interessi passivi, da “usurai”, che ogni anno il Paese deve pagare ai “proprietari del debito”. Si tratta del 5 % del PIL!!! Un numerone!
Ma come si è arrivati a questa condizione di particolare vulnerabilità economica? Ferrero ha ripreso in mano lo storico dei conti pubblici, rilevando che almeno fino al 1982 il rapporto debito pubblico-PIL era stabilmente intorno al 60%, dunque in linea con quello degli altri grandi paesi. Ma proprio nel 1982, successero una serie di avvenimenti poi determinanti per il futuro. Infatti, in seguito alla creazione (1979) del Sistema Monetario Europeo, al fine di avere un tasso di cambio rigido e permettere una libera circolazione dei capitali, la Banca d’Italia aveva di fatto perduto, come disse l’allora ministro Andreatta, “il controllo dell’offerta di moneta”. Per restituirglielo occorreva dunque, come disse l’allora governatore Ciampi, separare completamente “il potere della creazione della moneta dai centri in cui si decide la spesa”, rendendolo totalmente autonomo. Un vero e proprio “divorzio”, come i suoi stessi fautori lo definirono. Così, in linea con quanto stava accadendo anche in altri paesi europei (ma non negli USA o in Giappone!), nel 1981 Andreatta e Ciampi decisero di liberare la stessa Banca centrale dall’obbligo di garantire il finanziamento del Tesoro, attraverso soprattutto l’acquisto di quei titoli di Stato rimasti senza collocazione sui mercati, un sistema che fino ad allora aveva fatto in un certo senso da calmiere sugli interessi da pagare. Da allora, cioè appunto dal successivo 1982, i titoli dovevano essere tutti “venduti” nei mercati, terreni di caccia della grossa speculazione, per cui gli interessi cominciarono a salire vertiginosamente e con essi il nostro debito. A questo intervento tecnico, che però condizionò pesantemente la politica e gli stessi governi, sottoponendo la loro azione al giudizio “supremo” dei mercati finanziari, si aggiunse negli Anni Ottanta una politica volutamente incapace di controllare la spesa pubblica, che, a differenza di altri Stati, portò poi alla clamorosa esplosione degli interessi sui titoli pubblici e, conseguentemente, del nostro debito, raddoppiatosi in 10 anni!
I trattati finanziari ed economici europei, l’ingresso nell’euro e la libera circolazione mondiale dei capitali, hanno fatto il resto, insieme a una politica economica di austerità, cioè solo di tagli e di tasse, definita da Ferrero “folle ed insensata”. A questo proposito, ha ricordato un dato esemplificativo: in questi ultimi anni il 25 % delle imprese italiane ha chiuso i battenti! Questo nonostante una bilancia commerciale con l’estero sempre attiva! Dunque “l’economia proprio non tira”.
I rimedi? Beh, Ferrero ha riproposto la vecchia ricetta di Keynes, -che, ha ricordato, “era un liberale e non certo un seguace di Marx” (io aggiungerei anche che fu abilissimo finanziere internazionale!) – e cioè l’incentivazione della domanda interna attraverso l’intervento pubblico. Più o meno ciò che ha fatto Obama negli USA. E magari – ha aggiunto Ferrero – anche una diversa “governance” finanziaria, per evitare quanto è accaduto alla Grecia.
Speranze? Beh, secondo Ferrero, che, non a caso, è stato sindacalista della FIOM, sarebbe auspicabile ricostituire un nuovo CLN, “questa volta però prima che si arrivi alla disfatta”! Il segretario di RC si è detto comunque moderatamente fiducioso nel futuro, intanto perché così non si potrà andare avanti in eterno e, soprattutto, senza che la stessa società, che vede già oggi cinquantenni stare molto peggio dei loro padri, non reagisca. I segnali già ci sarbbero, anche se non nella parte politica che dovrebbe lanciarli, e cioè quella socialista! Ferrero ha fatto significativi riferimenti sia al nuovo governo di coalizione portoghese, “di cui nessuno in Italia parla”, ma anche a certi partiti di destra social-nazionalista, a cominciare dal Fronte Nazionale di Marine Le Pen, che sono “tutto fuorché liberisti”!
Infine Ferrero non ha mancato di sottolineare il ruolo negativo dell’informazione per quanto è accaduto e sta accadendo nella politica italiana di tutti questi anni. Sarà solo per colpa degli editori, come ha replicato Enrico Carta? Mah!