RICORDANDO LA TRAGEDIA DELLA “ROMA” [ADRIANO SITZIA]

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Le vicende della corazzata “Roma”, la più grande unità militare costruita in Italia, e la sua tragica fine nei convulsi giorni post-armistiziali, hanno sollevato notevole interesse purtroppo quasi esclusivamente tra gli appassionati e i cultori della storia delle nostre armi nella Seconda guerra. Tuttavia la recente individuazione di parti del relitto della nostra ammiraglia, le cui coordinate rimangono tuttavia segrete, ha trovato un po’ di spazio anche nei media, in parte sollecitati anche dalle diverse manifestazioni per ricordarne i tanti caduti. In questo senso assume un ruolo di rilievo la ripubblicazione da parte de “Il Giornale”, nell’ambito della collana “Storie di guerra”, del bel libro di Andrea AMICI, “UNA TRAGEDIA ITALIANA. 1943. L’AFFONDAMENTO DELLA CORAZZATA ROMA”, già edito da Longanesi nel 2010 e poi da TEA due anni fa.
La particolarità di quest’opera sta nell’essere un racconto in prima persona, una vera e propria memoria di quanto allora accadde dentro la nave. Infatti l’autore riporta una fonte diretta, quella di suo nonno, il fuochista Italo Pizzo, sanremese, chiamato alle armi proprio nell’agosto 1943, alla vigilia del fatidico e fatale “tutti a casa”, ed entrato in servizio proprio sulla “Roma” in quegli ultimi giorni di guerra italiana. Pizzo redasse una sorta di quaderno su quell’esperienza, al quale man mano aggiunse foto, articoli e documenti, tutti poi ritrovati dal nipote, che ne integrò il racconto basandosi su altre testimonianze e scritti di reduci e su documenti ufficiali, nonché sugli ultimi ricordi del nonno prima della scomparsa, avvenuta nel 1999.
Il libro descrive con dovizia di particolari sia l’impatto con la realtà militare di un giovane ed inesperto marinaio di leva, catapultato all’improvviso dentro quel moderno gigante d’acciaio che era la “Roma”, vera cittadina galleggiante di 239 metri per 33, “abitata” da oltre 2000 persone, e poi, di lì a poco, costretto ad essere protagonista di una vera e propria tragedia di guerra, che costò la vita ad oltre 1500 marinai. Di Pizzo, giovanissimo idraulico, cogliamo così in presa diretta le ansie, le preoccupazioni ma anche la curiosità verso questo mondo a lui completamente ignoto, fatto di disciplina, di grande organizzazione – turni, orari, mense, equipaggiamento, ecc. – ma anche di varia e pulsante umanità, tra cui alcuni suoi compaesani, che poi condivideranno con lui l’immane tragedia, uscendone fortunosamente vivi. Ed ecco raccontata la sua prima uscita in mare per le esercitazioni di tiro dei grossi calibri, i potentissimi – ma, si dice, poco precisi – pezzi da 381/50, che, quando sparavano, facevano tremare tutta la struttura. E poi l’attesa per il grande scontro, per la battaglia finale. Infine l’ultimo atto dopo il subitaneo comunicato radiofonico di Badoglio, e cioè: il trasferimento del Comando di squadra proprio sulla “Roma” e la partenza da La Spezia nella notte del 9 settembre ’43, per “destinazione ignota” (almeno ai più). Dove stiamo andando? A far che? Rotta verso La Maddalena, quand’ecco ricognitori alleati di oggi e di ieri sorvolare la grossa formazione navale, comprendente anche l’ “Italia”, già “Littorio”, e la “Vittorio Veneto”, gemelle della “Roma”, sei incrociatori leggeri e diversi cacciatorpediniere e torpediniere di scorta. Complessivamente una ventina di unità.
Poco dopo le 15 appare un gruppo di Dornier 217 K della Luftwaffe, decollati dalla Francia meridionale ed equipaggiati con una speciale bomba antinave perforante radioguidata, nota come “Fritz”, sconosciuta agli italiani, che, del resto, avevano l’ordine di reagire solo se attaccati. E l’agire di questi apparecchi non sembra preludere ad un bombardamento. Ma quando si capì che cosa stava per accadere, era ormai troppo tardi per reagire efficacemente. Così, intorno alle 15.30, la prima “Fritz” viene lanciata contro l’ ”Italia”. La bomba perfora la fiancata per esplodere fortunatamente in mare. Pochi minuti dopo un secondo ordigno centra la “Roma”, perforandone lo scafo per poi anche in questo caso esplodere in mare. I danni sono importanti ma rimediabili, tanto che la nave riesce a riprendere rapidamente velocità e rotta. Ma la fine è solo ritardata, perché cinque minuti dopo – sono circa le 15.52 – un’altra bomba penetra questa volta nel ponte comando tra il primo fumaiolo e la torre n. 2, che salta letteralmente per aria. L’incendio raggiunge il deposito munizioni di prora, che esplode. La nave è in preda ad incendi furiosi e a una serie di forti esplosioni dei depositi, che la fanno sussultare. L’agonia della corazzata dura una ventina di minuti. Poi la “Roma” si capovolge spezzandosi in due parti e portandosi dietro tante vite.
In soccorso dei naufraghi arrivano quasi subito l’incrociatore “Attilio Regolo” e alcuni caccia, che riescono a trarre in salvo centinaia di superstiti, molti dei quali gravemente feriti e/o ustionati. Queste unità dopo una lunga ed incerta navigazione, raggiungono infine le Baleari, esattamente Port Mahon nell’isola di Minorca, dove, dopo estenuanti trattative, si riesce a sbarcare i feriti. Le navi sono poi internate. A questo punto inizia una lunga e complessa vicenda diplomatica, che lascerà questi marinai “ostaggi” in Spagna fino al luglio del 1944, quando coloro che non scelsero Salò, e cioè quasi tutti, fecero ritorno in Italia.
Italo Pizzo poté rivedere la sua famiglia soltanto nel giugno del 1945.
Il libro si conclude con uno spaventoso sogno che Italo Pizzo descrisse solo pochi giorni prima di morire: saltato dalla “Roma” ormai spacciata, si dirige a nuoto verso un punto alquanto distante da lui, dove gli era sembrato di aver scorto un appoggio. Avvicinandosi riesce a distinguere un uomo ritto sopra un pezzo di legno. Lo chiama, invoca il suo aiuto, ma quello sembra non sentire. Italo lotta con tutte le esigue forze rimaste per avvicinarsi ed aggrapparsi all’inattesa salvezza. Lotta con il dolore e la fatica immane. Alla fine lo raggiunge. Ma quello rimane sempre immobile. Lo chiama, gli parla. Niente! L’altro, un ragazzo come lui, rimane rigido, forse per il terrore. Italo non capisce ed esita. Poi decide di salire anche lui su quel pezzo di relitto. Mentre lui sale l’altro improvvisamente perde l’equilibrio, cascandogli addosso. I due finiscono in mare, affondando. Italo tira fuori le ultime residue forze, riesce a riemergere e ad afferrare il compagno, che invece non da segni di reazione. Poi con un ultimo sforzo riprende il relitto e vi sale sopra, cercando di portarvi anche l’altro marinaio. Per fare questo lo gira e … “Questo ragazzo è completamente sventrato. La sua posizione lo aiutava a fermare la terribile emorragia. Toccandolo gli ho fatto perdere l’equilibrio, togliendogli gli ultimi istanti di vita”! Ecco gli incubi con cui un giovane ha dovuto convivere per la sua intera esistenza.

Per chi fosse interessato all’argomento “corazzata Roma” ecco altre due recentissime (2015) pubblicazioni: Ugo Gerini, “Corazzata Roma. Destinazione finale”, edita dall’editrice Luglio, e “La tragica fine della corazzata Roma nell’inedito manoscritto di un ufficiale superstite” di Riccardo Mattòli, uscita per Gangemi e che presenta il diario di un suo zio, Franco Mattòli, anch’egli imbarcato sulla nave da battaglia con il grado di sottotenente di vascello.