Fenomeno tipicamente british appare essere la nascita e lo sviluppo della musica dark, altro fondamentale ramo che si diparte dal movimento comunemente chiamato new wave, insieme al già citato post-punk, all’elettronica e al synth-pop di cui parleremo più avanti.
Il “dark” non poteva nascere se non in Gran Bretagna, terra brumosa e tradizionalmente legata a leggende macabre e storie di fantasmi, nonché culla del romanzo gotico e poi della letteratura romantico-decadente dei vari Oscar Wilde, Lord Byron, Stevenson, May Shelley nonché del genere giallo (Conan Doyle). Il cupo animo dei suoi abitanti avrebbe quindi, presto o tardi, riversato la propria interiorità anche nella musica, come in effetti è accaduto.
Le radici del “dark” o, se si preferisce, del “gothic” – questa, non a caso, è la definizione più usata in UK – vanno ricercate in alcune band ispiratrici e nel David Bowie della trilogia berlinese realizzatasi con “Low”, “Heroes” e “Lodge”. Tra le prime vanno inserite sicuramente i Velvet Underground di Lou Reed, i Van der Graaf Generator, con il loro cupo progressive, certa psichedelia di pinkfloydiana memoria, e i Black Sabbath di Ozzy Osbourne con il loro spettrale hard rock. Non va sicuramente dimenticata la tedesca Nico (Christa Päffgen), la “sacerdotessa delle tenebre” musa del gothic, le cui composizioni si caratterizzano per tessiture tetre e ipnotiche, come sospese nel tempo.
Questo dal punto di vista musicale. Invece per quanto riguarda i testi, si assiste ad un ripiegamento in sé stessi, nelle proprie paure, dubbi, insicurezze. Là dove il punk urlava la sua rabbia e il suo desiderio di ribellione al sistema, il dark invece è tutto proiettato verso l’interiorità dell’individuo, l’introspezione, l’introflessione dell’animo, spalancando al pubblico l’universo privato di coloro che scrivevano i testi e rivelandone le ombre e i segreti.
Ciò che caratterizza il genere e che ha contribuito grandemente al suo fascino è la drammaticità delle composizioni, pervase da un intenso pathos che deborda sia dai fraseggi musicali sia, come già sottolineato, dai testi. Il tutto espresso attraverso un cantato ora lancinante, ora potentemente attoriale, ora quasi angelico. Stesso discorso vale per gli arrangiamenti e per l’uso fatto dei vari strumenti musicali, lontano da quello che si faceva, ad esempio, nel progressive. Il caso più facilmente avvertibile è quello delle tastiere, che nel prog tessevano prepotenti trame sonore, enfaticamente protagoniste, mentre nel gothic, rimangono quasi sempre sullo sfondo ma, proprio per questo, contribuiscono a costruire una struttura melodica di tensione continua su cui si appoggiano la batteria, spesso chiamata a impostare una ossessiva sezione ritmica, la chitarra e il basso, quest’ultimo cardine intorno al quale gira tutta la composizione.
La visione del mondo di queste band è intrisa di un romanticismo disperato, dove viene evidenziata la solitudine e la sofferenza dell’uomo moderno Tale evidente sottolineatura mai come nei Joy Division ha trovato modo di realizzarsi. Da gruppo prevalentemente post-punk, col tempo i Joy Division sono diventati l’icona del movimento dark, un po’ per il fatto d’essere passati da un suono grezzo e spigoloso del primo album, “Unknown pleasures” ad un’alchimia perfetta e completa in “Closer”, loro secondo e ultimo lavoro ma, soprattutto, per la fine prematura e innaturale con la quale il front-man Ian Curtis decise di concludere i suoi brevi giorni.
Il “dark” non è stato, naturalmente, soltanto i Joy Division. Accanto a loro i Cure, che, prendendo le mosse da un pop psichedelico, si sono incanalati ei meandri più bui della psiche umana con quella stupenda trilogia dark all’inizio degli Eighties (“Seventeen seconds” è proprio dell’80, “Faith” dell’81 e “Pornography” dell’82); i Siouxsie & the Banshees, risposta femminile al dark-goth dei The Cure, con la cantante Siouxsie Sioux dalla carismatica personalità e dalla voce potente e decisa, i quali dall’iniziale, per niente banale, punk sono passati ad una psichedelica ricercata e complessa; gli Wire che con l’album “154”, seminale compendio dark, hanno indicato la strada a tanti gruppi che a loro si sono ispirati, talvolta pedissequamente, altre volte con una propria e decisa personale interpretazione del genere. Come non citare poi i Bauhaus, dall’approccio stilistico puramente punk ma permeato di atmosfere gotiche unite ad una capacità tecnica fuori dal comune, e i Killing Joke, inclini ad un certo rumorismo chitarristico ed elettronico unito all’inquietante voce del cantante Jaz Coleman.
La fondamentale etichetta “4AD” annoverava tra le “sue” band anche i Cocteau Twins e i Dead Can Dance, entrambi partiti da un post-punk debitore, rispettivamente dei Siouxsie & the Banshees e dei Joy Division. Poi i Cocteau Twins, attraverso alcuni album fondamentali di impronta schiettamente “oscura” (vedasi “Treasure” o il doppio MLP “Tiny Dynamine”/”Echoes in a Shallow Bay”) sono approdati ad un dream pop/ethereal rock che ha davvero fatto scuola, mentre i D.C.D., dopo un paio di lavori splendidamente decadenti, funerei e di indimenticabile fascino, con le caratteristiche ingerenze di archi e percussioni, sono poi giunti ad un “tribal dark” con suggestioni etniche mutuate dalla world music. Sempre la 4AD ha favorito la realizzazione di un progetto a nome “This Mortal Coil”, sorta di super gruppo che condensava le voci soliste e non solo delle principali bands che in essa militavano, costituendo, perciò, un compendio delle atmosfere dark, vero e proprio marchio di fabbrica della stessa 4AD.
Tra i gruppi che comunque si avvicinano a queste sonorità non si possono certo trascurare i PIL che, seppur non prettamente dark, hanno attinto alla complessa lezione new wave, pur partendo da radici punk, fortemente presenti nel precedente gruppo del front-man Johnny Rotten, i Sex Pistols, per proporre anch’essi un sound oscuro.
Infine, fondamentali per il movimento goth sono state alcune band, caratterizzate da un suono più solenne ed enfatico, barocco e ridondante: The Sisters of Mercy, dei The Cult e dei Mission.
Al di là dell’oceano, invece, sono stati i Christian Death a mettere in musica le idee dei loro cugini inglesi, sfornando lavori di valore assoluto come “Catastrophe Ballet”. Accanto a loro, gli Swans e i Ministry come a voler dire che, come in letteratura così in musica, l’animo romanticamente disperato non era solo prerogativa della vecchia Inghilterra.