A leggere oggi articoli ed editoriali di molti quotidiani dedicati alla finale degli Europei di calcio, andata in scena ieri sera a Parigi, si ha come la sensazione di aver assistito a qualcos’altro: all’atto conclusivo di un’epopea omerica o di una “chanson de geste” con il grande eroe gravemente ferito e costretto ad abbandonare la contesa, i suoi compagni valorosi come gli spartani alle Termopili, il guerriero che, novello Ulisse, risolve vittoriosamente la guerra, ecc. ecc. Del resto i nostri moderni aedi sono ormai abituati a lavorar di fantasia, dal momento che la realtà non offre spunti tali da far suonare la loro lira! Già, la realtà. Una realtà, almeno quella apparsa agli occhi di chi ha voluto vederla, ben diversa, deludente, mediocre da quella descrittaci con dovizia verbale: la solita partita anonima, certo con qualche sprazzo di buon gioco – soprattutto francese – ma, soprattutto, con tanta, tanta noia, ovviamente – lo ripeto – per chi ha voluto vederla. Peraltro niente di diverso dallo spettacolo calcistico al quale ci si è ormai abituati, nonostante il salvagente degli highlights ed i suoi costi sempre più alti (ancor di più se rapportati alla qualità!). Un calcio fatto di grandi interessi, di milionate a destra e manca, di fatturati, di diritti tv, di recompra o di immagine, di contratti senza valore, di riscatti e controriscatti, di manager, direttori, agenti e procuratori, di fondi d’investimento, di calci (in campo) e di calciomercato (in tv 365 giorni all’anno), di scommesse, di tanta finanza creativa e di altrettante parole per creare quell’interesse e quelle illusioni, indispensabili per vendere il prodotto, ma mai di … calcio. Un calcio dove più che le qualità, la tecnica e le prestazioni, per entrare nell’olimpo dello star system occorre stare dentro la “scuderia” di procuratori abili, capaci e spregiudicati, magari con l’aiuto di agenzie specializzate e di mass media amici. Insomma il calcio come specchio del nostro mondo, della vuota contemporaneità (con buona pace degli illusi “dommatteizzanti”), tutta apparenza e poca sostanza.
Ma lo sport, purtroppo per i nostri moderni aedi ormai abituatisi a descrivere realtà immaginarie, è – fortunatamente! – fatto ancora di risultati: di risultati di un confronto, uno di fronte all’altro; di risultati di una competizione vera. Così ecco un Paese che ha soltanto 40 calciatori professionisti, l’Islanda, eliminare l’Inghilterra del campionato più ricco del mondo (la famosa Premier League, dove le sterline volano come le falene ieri notte a Saint-Denis); ecco il Portogallo del “campionissimo” Cristiano Ronaldo, colui che regala un’isola al suo procuratore, salvato quasi per caso – il classico coniglio dal cilindro – da Eder, un anonimo, quasi trentenne centravanti della Guinea, il cui apice in carriera è stato giocare, spesso riserva, nel Lilla o, se volete, nello Swansea o nel Braga! Ed ecco la Francia dei talentuosissimi – ehm! – Pogba (mister 120 milioni), Griezman, Payet, ecc., trovare nell’armadio Moussa Sissoko, poderoso centrocampista centrale in forza al retrocesso Newcastle del grande (!!!) Benitez, l’unico in grado di scardinare il bunker portoghese, neppure tanto corazzato. Per non parlare delle portentose nazionali di Belgio e Croazia, piene di cosiddetti talenti, che però sono cadute – male! – al cospetto di squadre, almeno sulla carta, decisamente più modeste (rispettivamente il Galles e lo stesso Portogallo), con l’aggravante, per quanto riguarda il Belgio, di averle prese pure dall’Italia. Già l’Italia, quella del campionato più bello del mondo con Juve, Milan e Inter ai vertici del calcio planetario, delle quattro vittorie mondiali, delle 12 Coppe campioni, …! Ricordi di anni ormai trascorsi, certo non rinverditi dalla sua modesta nazionale, che pure ha raggiunto i quarti, perdendo ai rigori (anche “grazie” ad un giocatore fatto entrare all’ultimo secondo proprio per tirarne uno) con la Germania, anch’essa lontana dai suoi standard.
Ahi, sei caduto nei paragoni con il passato! Male! E’ vero: fare confronti con tra epoche diverse non è mai corretto e neppure giusto. Ma chi ha potuto godersi le giocate, ammirare la classe superiore, vera e non inventata dai moderni aedi – quelli che favolano di e con realtà immaginarie – di Pelè, Maradona, Zico, Platini, Baggio, Cruijff, Best, o le notevolissime qualità calcistiche di Falcao, Van Basten, Rumenigge, Matthaus, Zidane, Totti, tanto per citarne alcuni, non può fare a meno di compararle con quelle degli attuali “fenomeni” Ronaldo, Neymar, Bale, Gotze, Muller, De Bruyne, Modric, Griezman, Pogba, Kane, Lallana, Morata, ammirati – si fa per dire- a questi Europei o dei nostri “campioni” della serie A, Berardi, Bernardeschi, Saponara, Icardi, Gabbiadini, Bertolacci, Montolivo, Soriano, Belotti, Balotelli (come dimenticarcene!), Salah, Dzeko, Anderson, Biglia, Keita ecc. ecc.
Calcio troppo fisico o troppo tattico? Calcio troppo hollywoodiano? Calcio troppo Nba? Irrazionale nostalgia per un calcio, per uno sport, per un mondo che non ci sono più? No, più semplicemente realismo!