IL RIFORMISMO NON NECESSARIO ED I SUOI FRUTTI ACERBI (ADRIANO SITZIA)

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Sfogliando i quotidiani odierni si può trovare un’intervista molto interessante a Ricardo Lagos, settantottenne ex presidente del Cile. Lagos, che forse si ripresenterà come candidato alle prossime primarie presidenziali della primavera 2017, così fra l’altro descrive la situazione del suo paese oggi: “c’è una crescente delegittimazione delle istituzioni. La gente le guarda con sospetto e indifferenza. Il tasso di approvazione dei partiti politici del Parlamento è inferiore al 10 per cento. Ci sono casi di corruzione nella comunità degli affari. La Chiesa cattolica viene accusata di comportamenti non etici. Perfino la Federcalcio cilena, nonostante i successi della nostra nazionale, è nel mirino. C’è un problema di fondo nel rapporto tra politica e denaro. Il dilemma è che la risposta dovrebbe venire dalle stesse istituzioni che sono in grave debito di credibilità. Ma questo è vero non solo in Cile”.
Questo è vero non solo in Cile”!, conclude Lagos. Infatti, leggendo parole come queste, il pensiero non può non andare subito alla realtà italiana ed alla sua politica. Una politica incapace di dare risposte che non siano di facciata, cioè scarsamente incisive, soprattutto per quanto riguarda poteri, privilegi e prebende di chi ha già scalato i vertici del potere partitico. Una politica che, compiaciuta di sé e della propria arroganza, dopo una stagione di travagliosa transizione, ha ritrovato in un forte centralismo politico e amministrativo, in un sempre più accentuato verticismo la ricetta giusta per sopravvivere a se stessa, gabbando i cittadini con il miraggio di un efficientismo germanoide e di una maggiore giustizia ed equità, ma in realtà mirando ad una società bloccata sull’esistente, chiusa, impaurita e, soprattutto, priva di dignità individuale e collettiva. Perché, come giustamente scrisse Primo Levi (“I sommersi e i salvati”) “per vivere occorre un’identità, ossia una dignità”!
Certo la vecchia politica era inefficiente, sempre in crisi, troppo assembleare e poco concreta. Indubbiamente i governi duravano lo spazio di una stagione, e le giunte erano spesso in “pericolo di vita”, vittime predilette delle faide correntizie e della degenerazione “poltronistica” dei partiti, diventati negli Anni 80 ripugnanti simulacri di ciò che erano stati nel dopoguerra.
Allora gli “efficientisti” si sono fatti avanti con impeto referendario: bisogna cambiare, ridare efficienza al sistema, “chi vince deve poter governare/amministrare”. Ed ecco la rivoluzione copernicana dell’elezione diretta dei Sindaci e dei “Governatori”. E il popolo commosso ringrazia questi sindaci tuttofare, sceriffi, muratori, acrobati, inventori, e persino qualche governatore incontrastato dominatore. Finalmente era stato scoperto l’elisir di tutti gli italici mali (o almeno questo ci era stato fatto credere). E allora perché non trasformare anche le istituzioni più alte? Quanto sarebbe bello per esempio avere il “Sindaco d’Italia”! Magari senza organi di controllo, e con un parlamento che ratifica tutto, perché eletto (sic!) con metodi “strani”, per cui la più numerosa tra le minoranze vince e diventa grande maggioranza! Bello! Bello! Poi pian piano svuotiamo tutti gli organi di garanzia, accentriamo tutto a Roma, decidiamo tutto noi, che sappiamo quel che facciamo, sgraviamo il cittadino dall’inutile incombenza di pensare, svuotandogli le tasche ma riempiendogli la testa di minc***** e di illusioni consumistiche, et voilà rien ne va plus!
Sennonché la “gggente” va sempre meno a votare, è sempre più disillusa, disincantata, fatalista, depressa: non ce la fa più! Ma sì, meglio così, che se ne stia pure a casa a pensare ai casi suoi. Agli altri ci pensiamo noi! Eh, siamo qui per questo!
Sennonché a furia di tagliare, i livelli politico-amministrativi di base, i Comuni e le Province, si ritrovano con le casse vuote. Ah, ‘sti spendaccioni, ‘sti spreconi. Basta! Dovete essere virtuosi! Via le province, inutili. Facciamo le città metropolitane, inventiamoci qualche altro bel nome: anzi facciamo un concorso per il nome o l’acronimo più bello! Gioco a quiz! Chi vince, avrà 10000 voucher.
E voi Comuni attenti, mì che finite in braghe di tela consunta!
Intanto altrove si continua: “come prima, più di prima spenderò, per la vita, la mia vita incasserò”. Peccato le mancate Olimpiadi!
Ma in un’isola italiana, ad un certo punto, si leva la voce tonante della riscossa: prima con il pioniere tiscaliano e poi con i suoi epigoni accademici, presidi e quant’altro. Sembra finalmente giunto il momento della riscossa sarda! E invece, oltre al nero fumo dei troppi incendi estivi, la Sardegna si copre pure di quello piddino, assai fuligginoso. Non si riesce più a respirare. Così in via Emilia a Cagliari deve arrivare – da Roma – un “garante”, mentre a Oristano no, il commissario no, non s’ha da fare (arrivare). Perché? Ma perché lo dico io, re Guido, arbitro del bene e del male, giudice e legislatore. Ed ecco le mie volontà “
È la prima volta che accade – dice il supremo GT dall’alto del trono sindacale – che si contesti una scelta come quella che è stata fatta per quanto essa fosse giustificata dall’assenza dell’assessore competente sul sull’argomento (cioè? Boh!). Forse qualcuno pensava di poter festeggiare, ma purtroppo per lui (ahahah) ci sono delle novità importanti che dovrebbero consentire di evitare il commissariamento del Comune che è sempre una cosa peggiore rispetto all’amministrazione guidata da qualsivoglia sindaco eletto.
Vabbè. Appuntamento agli Scolopi, domenica mattina, ore 9.00! Mettiamo la sveglia! Anzi svegliamoci!!!