REFERENDUM: IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA [ADRIANO SITZIA]

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Un vero e proprio terremoto ha squassato ieri la cittadella politica italiana. Quello che gli inglesi avevano definito “Renzi’s do-or-die referendum” ha infatti segnato un’inaspettata disfatta del presidente del Consiglio e del suo partito, che pure si erano fin troppo “generosamente spesi” per vincerlo. I numeri di questa Caporetto elettorale sono impietosi, ma, curiosamente, molto simili a quelli che nel 1974 portarono alla conferma della legge sul divorzio con il trionfo del “NO”: 19.419.507 sono stati i “NO” a fronte di 13.432.208 “SI” (quasi 400000 sono stati i voti non assegnabili tra nulle, bianche e contestate). Nel referendum del 1974 i “NO” furono 19.138.000 e i “SI” 13.157.000. Del resto anche allora un partito, la DC di Fanfani (più l’MSI), “si spese generosamente” contro una riforma come questa, certamente antistorica, qualunque sia il giudizio che uno vuole o si sente di darne.
Tuttavia a sorprendere è stata innanzitutto la partecipazione al voto, quale non si vedeva ormai da molti anni: 33.243.845 di italiani, pari al 65,47 % degli aventi diritto! Per fare un confronto diretto – e pertinente -nel 2006 – referendum costituzionale sulla riforma Berlusconi – votarono 26.111.000 italiani. Dunque una  differenza di oltre 7 milioni!!! Forse tanti cittadini hanno perfettamente compreso l’importanza della posta in palio; forse sono ritornati alle urne molti tra coloro che, militanti o simpatizzanti di partito, s’erano sentiti delusi e abbandonati dai loro riferimenti politici (penso soprattutto al PD e a FI), ed avevano perciò messo da parte anche la partecipazione al voto; forse questa lunga, estenuante, “invadente” (in particolare da parte del “SI”) campagna elettorale ha talmente scassato “i cosiddetti” che alla fine anche molti “tiepidi” si son detti “ma sì ci vado, che mi costa”; forse stavolta la protesta sociale ha fatto ritorno nei seggi, forse …
Comunque i risultati, così come nel 2006, sono inequivocabili: infatti in 17 regioni su 20 (nel 2006 furono addirittura 18) il “NO” ha prevalso quasi sempre nettamente (fa eccezione l’Umbria dove lo scarto è stato di 2,4 punti percentuale), mentre il “SI” ha vinto con margine solo in Trentino Alto Adige (ca. 8 punti), mentre in Toscana (5 punti) e ancor di più in Emilia (o,8 %!!!) la differenza è stata minima. E, come nel 2006, le regioni più ostili alla “riforma” sono state quelle meridionali, in particolare la Campania e la Puglia, nonché le isole. E qui il discorso va ampliato. Infatti Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale, hanno probabilmente avvertito i pericoli insiti nella riforma del Titolo V e nelle revisioni statutarie previste dalla legge “Renzi-Boschi”, dopo il tentativo renziano di far fuori la stessa “specialità” regionale in sede parlamentare. Così in Sicilia i “NO” sono stati quasi 1.620.000 a fronte di appena 643.000 “SI”. Alla Sardegna poi spetta il primato assoluto con il 72,22 % (616.791) di “NO” contro appena il 27,78 % (237.280) di “SI”. Analizzando il voto locale il primato tra i capoluoghi di provincia spetta proprio ad Oristano, dove i “NO” hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 13.563 contro gli appena 4397 “SI”! Nella nostra provincia solo in un centro (Genoni) il “SI” ha superato la soglia del 40 %. Un risultato dunque inequivocabile, così come inequivocabile è stato il responso a Iglesias (11369 “NO”, pari al 77,26 %), Quartu (28.710 “NO”, pari al 76,36 %), Nuoro (14902 “NO”, 74,18%), Villacidro (5567 “NO” pari al 73,34 %), Carbonia (il “NO” al 72,17 %), Alghero (“NO” al 71,76 %), Olbia (“NO” al 70,97 %). Per quanto riguarda Cagliari i “NO” sono stati 60002 per una percentuale del 69,71 %, mentre a Sassari, roccaforte del PD, dove è nato anche il primo comitato sardo per il “SI”, i “NO” sono stati 48308 contro appena 21032 “SI”!
Unica, parzialissima soddisfazione per i “SI” è stata la vittoria, così come nel 2006, nella circoscrizione estera: 722.672 contro 394253. Sul voto “estero”, a questo punto, ci sarebbe da aprire una franca discussione!
E ora? Che succederà? Quale governo ci accompagnerà alle ormai inevitabili elezioni anticipate? Con quale legge elettorale si andrà a votare? E quando si metterà finalmente mano, attraverso un percorso davvero democratico, alla stesura di riforme costituzionali, in grado di dare nuova linfa e slancio allo Stato in tutte le sue articolazioni? E la politica italiana? Uscirà dal sensazionalismo a tutti i costi, per presentare progammi e progetti innovativi e credibili? Tante sono le domande che in queste ore occupano i ragionamenti di chi tiene a questo Paese e al suo futuro. Io vi aggiungerei anche quelle sul futuro della Sardegna. Sì, perché il presidente Pigliaru si è schierato apertamente per il “SI”, ha fatto campagna per il “SI” e con lui Ganau, presidente del Consiglio regionale, e tanti altri consiglieri del PD, oltre, ovviamente, ai parlamentari sardi eletti da questo partito. Allora, se il voto nazionale, come è facile immaginare, è stato condizionato anche dall’avversione al governo e al suo presidente, è altrettanto facile pensare che il voto sardo sia stato anch’esso condizionato dal giudizio negativo nei confronti dell’attuale Giunta e del suo presidente. Un presidente che, fra l’altro, al divo Matteo è sempre apparso innegabilmente molto devoto, ricevendone in cambio tante promesse, adesso difficilmente concretizzabili. Un presidente che, forse con eccessiva sommarietà, ha adottato questa riforma costituzionale, spacciandola addirittura per una grande occasione di rilancio della nostra “specialità”!!! Allora, se Renzi ha tratto le conseguenze dal risultato, forse anche il buon “Governatore” sardo dovrebbe … riflettere. Ma dovrebbero riflettere pure tutti coloro che, dalla sponda “identitaria”, stentano ancora a mettere su un progetto includente, in grado – finalmente! – di dare quella autorevole voce all’isola, cambiandone le sorti politiche e quindi socio-economiche e indebolendo la nefasta influenza di molte sigle partitiche nazionali.
Due parole su Oristano. Intanto s’è visto l’attuale peso del centrosinistra, senza sinistra, in città ed in provincia. Un peso sempre più modesto, a fronte di un PD sempre meno frequentato, dopo le “epurative” emorragie di questi anni. Emorragie che hanno certo favorito l’attuale gerarchia interna e le sue fortune, ma nel contempo hanno pesantemente limato in qualità e quantità il partito renziano in città e in provincia. Gli innegabili sforzi del deputato oristanese – e di qualche altro onorevole nonché di certi “professori” che siedono agli Scolopi – a sostegno della riforma costituzionale hanno svelato (ancora una volta!) il suo scarso impatto sull’opinione pubblica locale. Allora il serissimo problema della effettiva rappresentatività di chi è partito da Oristano alla volta delle assemblee legislative, della selezione della classe dirigente locale, della scomparsa della politica stessa, non può più essere ignorato. Oggi tra Oristano e la politica, intesa sia come luogo di elaborazione di idee, sia come associazionismo politico, sia come classe dirigente, c’è un distacco difficilmente colmabile in tempi brevi. Questo 4 dicembre 2016 può allora diventare il momento iniziale di un percorso ricostruttivo della politica oristanese: una politica di ampio respiro ed ambizione, che non si fermi agli Scolopi e alla fascia tricolore, che guardi più in alto senza paura e senza complessi di inferiorità, avendo in mente la rinascita della città, del suo territorio e della stessa Sardegna.