Ieri sera, come da facile previsione, la maggioranza “PD&altri” ha fatto passare in Consiglio comunale la famosa “seudo-circonvallazione”, ossia una strada urbana diventata “circonvallazione” solo ed esclusivamente a fini burocratici, necessari per avere un finanziamento ministeriale, altrimenti revocabile.
Non voglio riproporre l’ennesima cronaca della ennesima travagliata seduta consiliare – con tanto di conclusione teatrale – di ieri sera: le cronache giornalistiche disponibili sulla stampa e sul web, a questo proposito, sono numerose ed esaustive. Né mi interessa ritornare sulla questione dell’utilità o meno della “circonvallazione intra-muros” con il percorso ieri approvato: in fondo ha ragione il capogruppo PD Obinu, quando, con una delle sue usuali argomentazioni disarmanti, ha sostenuto che tutte le scelte hanno dei “pro” e dei “contro”, avvantaggiano qualcuno e danneggiano qualche altro, e che gli argomenti di sostenibilità e sicurezza valgono per questa come per tutte le altre strade “urbis et orbis”! Mi verrebbe da dire che, proprio muovendo da questa semplice, lapalissiana base concettuale, le riflessioni non dovrebbero mai essere troppe, ma so bene di sprecare parole, tempo e pazienza dei lettori.
Quello su cui vorrei soffermarmi e riflettere, parte invece da una domanda fatta proprio ieri sera da uno dei consiglieri, Massimiliano Sanna, al primo cittadino: “Sindaco, qual è il suo concetto di assemblea pubblica?”. Sanna poi si è dato anche la risposta: il senso sarebbe quello di presentare progetti già pronti e non certo di confrontarsi sul problema in oggetto per poi arrivare ad una soluzione il più possibile condivisa. Ecco qui sta il principale snodo, la fondamentale scelta che Oristano, la Sardegna, l’Italia, l’UE, l’universa terra sono oggi chiamate ad affrontare: quale democrazia?
Nel “secolo breve”, quello del trionfo, pagato con decine di milioni di morti, delle democrazie liberali, dello splendore dei grandi partiti, e poi di una società che, con le grandi rivoluzioni sociali e culturali degli Anni sessanta, aveva trovato la maniera di incidere pesantemente anche sui processi decisionali, il problema della democrazia rappresentativa e della delega in bianco, nonostante tutto, rimase relativamente importante, perché l’iter di formazione delle decisioni trovò negli stessi partiti, nelle forze sociali, nell’informazione, delle stazioni di partecipazione, confronto e medi(t)azione insieme pluralistiche ed efficaci.
Poi, a partire dagli Anni Ottanta, i suddetti passaggi ed i loro attori sono lentamente ma inesorabilmente venuti meno, sono stati depotenziati, a favore delle leadership, dei “maggioritarismi”, della rapidità ed efficienza decisionali, degli “uomini del fare”, dei “responsabili”, dell’euro+pa, del mercato globale, delle borse ecc. ecc. In Italia e in Sardegna i principali nomi e cognomi li conoscete tutti, per cui non è neppure il caso di ricordarli!
D’altro canto l’esplodere di una gravissima crisi economica e sociale, la successiva stagnazione, l’incombere della povertà che – a torto – si era pensato che fosse solo un lontano ricordo dei più anziani, e, con esse, la determinata, programmatica arroganza di una politica prima fattasi tecnica e poi rivelatasi in tutto il suo “s-fasci(n)o”, hanno fatto svanire le estreme illusioni nei confronti della validità della stessa, e, insieme, mostrato senza veli – almeno agli occhi almeno di coloro che hanno ancora voglia di aprirli – i gravissimi limiti di un sistema decisionale, che, nonostante la sua ormai provata miopia, continua a sfornare soluzioni vecchie e insostenibili, addobbandole con giustificazioni di presunto interesse generale e/o europeo.
La reazione popolare si è manifestata dapprima con contrapposizioni locali a scelte imposte dall’alto, per poi incanalarsi in movimenti che pian piano hanno assunto le dimensioni di fenomeni nazionali, dunque non più trascurabili né superficialmente dispregiabili. Movimenti che, appunto, hanno come comun denominatore la contrapposizione ai palazzi e ai loro sempre uguali inquilini, che, dal canto loro, li hanno rusticamente definiti “populismi”, evocando per essi addirittura gli spettri delle grandi e sanguinose dittature del primo Novecento.
Ora la nostra piccola, povera circonvallazione urbana non è altro che l’ennesimo esempio di un profondo conflitto ormai in atto: quello tra chi, passatisticamente legato alla forma (priva di sostanza) della democrazia rappresentativa, confina quest’ultima nel recinto elettorale, relegando a ruolo ancillare i cittadini e proscrivendone una loro qualunque possibilità partecipativa, che non rientri nelle forme e negli organismi codificati; e chi, invece, consapevole dei disastri prodotti proprio dall’assenza di vera partecipazione e di controllo pubblico, vuole conquistare nuovi spazi partecipativi per la negletta “gggente”, facendole riguadagnare quel terreno perso a tutto vantaggio degli attuali delegati decisori. D’ora in poi proprio questo sarà il campo di battaglia, il terreno di contesa della politica. Al di là della circonvallazione di Sa Rodia, che, appunto, avrebbe meritato ben altro livello di confronto!!!