Da tempo non seguivo interventi in consessi o assemblee nazionali di partiti politici. Mi è capitato oggi all’ora di pranzo, non so se con intenti digestivi o meno. Fatto sta che ho ascoltato nell’ordine Veltroni, a cui va riconosciuto – nonostante la lunga assenza dai palchi politici – un ancor eccellente cerchiobottismo affabulatorio; il più nuovo Giacchetti, impegnato a scaricare su proporzionale e preferenze il degrado morale della politica nostrana (e del suo partito); e, infine, un altro politico-scrittore di imperitura fama, Dario Franceschini, che ha raschiato il fondo del pur ampio repertorio disponibile per trovare ragioni in favore dell’unità del suo pericolante partito.
Le sensazioni e le impressioni a caldo posso facilmente riassumerle: questa politica non mi manca! Non mi manca la sua inutilità, non mi manca la sua vuotezza, non mi manca la sua retorica, non mi manca quell’afflato ipocrita alla radice del peggior retoricume di certi passaggi. Già fa senso sentire politicanti chiedersi come mai una politica come la nostra, efficiente, moderna, generosa, leale, trasparente, sia così impopolare soprattutto nei ceti redditualmente meno fortunati, subendo la forte concorrenza dei cosiddetti populismi, ormai mostruoso “babau” da sconfiggere a tutti i costi! Se poi a farlo sono prestigiosi quanto navigati esponenti di una certa bandiera, il senso allora diventa … filopopulismo!
Non voglio entrare nel merito della contesa politica tra le varie anime del PD. Voglio solo ribadire una mia convinzione: all’attuale segreteria deve essere riconosciuto un importantissimo merito, l’aver finalmente dato a un partito, che prima faceva di tutto per non essere né carne né pesce, una sua precisa identità, un suo ben definito tratto distintivo. E di averlo fatto con decisione e senza ipocrisie, con la riforma costituzionale.
Lasciamo perdere le battute sui modelli a cui Renzi avrebbe fatto riferimento. Questa dirigenza ha semplicemente disvelato ciò che è elemento genetico di quella parte politica, o, almeno, della sua maggioranza e che, finora, s’era manifestato solo qua e là (in Sardegna il sorismo, in cui rientra a tutti gli effetti anche il nostro GT).
Ma, direte voi, questo cruciale passaggio è forse stato fatale per chi ad ogni costo l’ha voluto. Beh, intanto non ne sarei così sicuro. Soprattutto, però, – e scusate se insisto su questo punto – l’azione di Renzi è stato l’unico elemento chiarificatore, quasi dirimente, nel confuso ed opaco quadro politico italiano dell’ultimo quarto di secolo. Oggi dunque, grazie a Renzi, sulla vera natura del PD non possono, non devono più esserci dubbi: il cittadino la conosce, il militante la conosce. Niente più boschetti elettorali di alberi, fiori e “valori”, niente più melassa ulivista, ma un soggetto politico che ha e presenta un’idea di Stato, di governo, di economia e di società ben definita. La condividi? Siiii? Noooo? Ma questa è e, forse, tale resta! Forse.
E chi non ci sta? Fa quello che prima hanno fatto altri: seguire un percorso diverso.
A proposito di posizioni chiare, alcuni giorni orsono ho potuto leggere un intervento di colui che oggi indiscutibilmente è uno dei migliori e più preparati politici sardi: Paolo Maninchedda. Un politico che, peraltro, ha capacità espositive davvero non comuni per chiarezza e brillantezza, per cui ascoltarlo e leggerlo risulta, oltre che interessante, anche piacevole.
Questo suo intervento è anch’esso, almeno nelle premesse e nelle argomentazioni contenutistiche, limpido, franco: il Partito dei Sardi non è né può essere considerato “di centro”. Dice tra l’altro l’assessore della Giunta Pigliaru: “il Centrismo è una posizione tattica, non culturale, che si sviluppa nei contesti bloccati. Non è questo il caso della Sardegna: l’alternanza democratica è garantita dalle leggi e dal momento politico. Il Partito dei Sardi è un partito indipendentista sardo. Il suo obiettivo è la costruzione dello Stato sardo, della coscienza nazionale dei sardi, della responsabilità dei sardi verso il loro futuro. Le sue radici politico-culturali sono quelle dell’area progressista europea: …”. Insomma nessun equivoco di sorta.
Se non che nella parte finale dell’articolo il leader del PdS così si esprime: “Abbiamo illustrato al Pd le nostre idee e abbiamo registrato interesse e attenzione e comunque nessun intento egemonico, anzi particolare attenzione allo spirito di libertà civica che vogliamo proporre. E dunque, riepilogando: liste civiche, libertà, rinnovamento, nessuna egemonia, indipendentismo/responsabilità, cambiamento, competenza, pacificità, confronto, competenza. Ma dov’è il centrismo? Tutti i rappresentanti delle liste che abbiamo incontrato non hanno mai usato questa parola, mentre hanno usato spesso “cambiamento”, “libertà”, “sovranità”. Il centrismo sopravvive nel lessico politico ma non vive in questa coalizione. La posizione più moderata che abbiamo registrato non cade sotto il nome del centrismo ma del riformismo, ed è ben altra cosa”. Ora, senza entrare nel merito del complesso rapporto PD-Sovranisti, alleati in Regione e in alcune importanti realtà locali, ma solo alcuni mesi fa in aperto conflitto sulle riforme costituzionali, poi bocciate dalle urne, ad aver lasciato perplessi diversi lettori è stato soprattutto il passaggio sulla differenza tra “centrismo” e “riformismo”, che, se scolasticamente (alias “culturalmente”) è inequivocabile, lo è assai meno nell’ambito della praticaccia politica. Probabilmente solo l’esito delle trattative in corso chiarirà meglio questo importante aspetto.