Fare politica è un’arte assai particolare, a volte sorprendente (in positivo e, ovviamente, in negativo), qualche volta persino esaltante, ma troppo spesso sconfortante. Lo “sconfortante” non è riferito però ai risultati, peraltro sempre meno buoni, che la politica ottiene; in questo caso invece è attinente alle “stranezze” di molti suoi attori o aspiranti tali, che ne popolano i set. Prendo il caso specifico di Oristano e delle imminenti elezioni comunali. Si dice sempre, sindaco dopo sindaco, che la città è stanca, che tanta “gggente” ne ha le scatole piene di questa politica, che c’è grande voglia di cambiamento, di “alternative”, insomma di “nuovo” o, meglio, di “diverso, possibilmente migliore”. Ma poi, come diceva un tale, “quando non si hanno più capelli, si trovano ridicoli i capelli lunghi”. Così, a Oristano chi – forse paria della politica? – ha tentato e, nonostante tutto, ancora persiste nell’ardua impresa – ogni giorno che passa sempre meno realizzabile! – di costruire un progetto politico “identitario”, alternativo alla politica tradizionale – quella, per intenderci, che ha prodotto finora solo Amministrazioni deludenti, e che, a Cagliari come a Roma vegeta ben (ri)pagata in stato letargico – non riesce a trovare nessun interlocutore, neppure mettendosi in ginocchio, ma solo un invalicabile muro di indisponibilità. Indisponibilità di gruppi e di singoli giustificate in vari modi, più o meno ragionevoli anche se, certamente, legittimi: inconciliabilità ideologiche, “tempi non ancora maturi”, divergenti obiettivi, scarso entusiasmo della militanza, stanchezza, nausee varie, motivi di lavoro, impegni, incompatibilità professionali ecc. ecc. Invece i poli tradizionali, quelli – ripeto – che ci hanno governato ed amministrato finora senza soluzione di continuità e con i (non) risultati di cui tanti si lamentano, beh, beati loro, non soffrono mai di simili crisi vocazionali: anzi sono sempre affollatissimi, pieni di leader, di liste, di candidati, di mani tese e, probabilmente, anche di voti. Continuano a ripeterti che vogliono cambiare le cose “da dentro”, “mettendoci la faccia e l’impegno”, “provandoci”, ti illudono che stanno facendo questo immenso sacrificio only for you, solo per la loro e tua comunità, per la loro e tua città! Si presentano sempre impeccabili, agghindati e lisciati “insieme” con le loro etichette accattivanti, variopinte, (social)democratiche, progressiste, riformatrici, moderate, o magari in grado di evocare una città diversa, di bellezza, rinnovabile, ricca di valore comune e di idealità. Dicono “noi” intendendo spesso loro stessi e non certo “il prossimo tuo”; parlano di futuro, riferendosi il più delle volte al loro. Eppure, nonostante il (simulato?) scetticismo che, ogni volta, li circonda, occupano quasi tutti gli spazi pubblici, conquistano l’informazione, catalizzano l’interesse della “gggente”, che, anche se con percentuali sempre meno grosse, finisce per rimetterli lì al – è proprio il caso di dirlo – loro posto! Poi, una volte svuotate le urne e fatti i consigli, immancabile inizia il solito giochino sterile dei cittadini stanchi, dei cittadini inc******, dei cittadini disgustati dalla politica, dei comitati, della partecipazione, del rinnovamento dal basso ecc. ecc. Fino al prossimo giro!
Auguri! Buona Pasqua.