UN’AUTONOMIA TROPPO “ROMANA” PER LA SARDEGNA CHE FRANA (ADRIANO SITZIA)

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Ieri, mentre sul fronte romano si facevano sempre più forti i venti elettorali “tedeschi”, su quello cagliaritano piovevano dimissioni. A far molto rumore sono state, senza dubbio, quelle “pesanti” dell’assessore regionale Paolo Maninchedda, leader del Partito dei Sardi (seconda forza dell’attuale maggioranza di via Roma), ma appaiono significative le stesse meno eclatanti dimissioni dalla Commissione d’inchiesta sull’efficienza del sistema sanitario sardo del consigliere regionale PD Roberto Deriu. Questi abbandoni, a ben guardare, hanno un particolare comune: la constatata impraticabilità di un’azione di effettivo cambiamento dentro questo “stato” di cose! Non a caso Maninchedda, nella sua lettera a Pigliaru, parla di “grande desiderio di ritorno al passato”, di “oceano di burocrazia, di immobilismi standardizzati, di abitudini inveterate”, e, conseguentemente, di una “sensazione di solitudine nel percepire l’urgenza di cambiamenti epocali per noi Sardi”. E Deriu, deposti questa volta tutti gli indugi democristiani, parla di “fallimento di una sua (del mondo politico sardo) espressione istituzionale”, istituita per portare avanti una fondamentale inchiesta conoscitiva, ma poi abbandonata a se stessa nell’impossibilità di operare. E stanchezza, solitudine, fallimenti sono poi le parole utilizzate – ovviamente in senso critico! – dall’opinione pubblica più informata a proposito dell’attuale Amministrazione regionale, tanto che l’idea di anticiparne la conclusione diventa giorno dopo giorno sempre più popolare.
Ma, accanto al cambiamento del governo regionale, servono, occorrono, urgono quelle riforme statutarie, amministrative e strutturali in grado di spostare in capo alla Sardegna quanto più potere possibile. Solo così ci sarà un reale, concreto spazio di rivolgimento e di trasformazione. Altrimenti siamo condannati all’eterna, opprimente e sconfortante stagnazione, che ben conosciamo. Ecco perché bisogna senza remore lavorare ad una alternativa “identitaria”, mettendo da parte quelle divisioni, ideologiche e personalistiche, che ancor oggi impediscono il dispiegamento di tutte le sue energie e potenzialità.