ALLARME CGIA MESTRE: CROLLANO L’ARTIGIANATO E I PICCOLI NEGOZI (ADRIANO SITZIA)

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vasaio medievale

Quasi 158000 attività chiuse in Italia negli ultimi otto anni, dal 2009 al 2017, delle quali ben 145000 nell’artigianato. Risultato: 400000 posti di lavoro andati in fumo! Questo è il triste bilancio della crisi che attanaglia il settore da ormai un decennio, senza vedere spiragli di ripresa. Infatti anche nell’ultimo anno, durante il quale spesso – e con qualche eccesso di audacia! – s’è sentito parlare di “ripresa” e dunque di crescita dei consumi, in questo settore la caduta non s’è mai arrestata: nel periodo giugno 2016 – giugno 2017 il numero di imprese in attività anzi è sceso ancora, di ben 25604 unità!
Le cause? Beh, le solite note: il crollo dei consumi, conseguenza della crisi economica imperante dal 2008 in poi, le tasse, le difficoltà di accesso al credito, l’aumento degli affitti, la solita burocrazia ma anche le politiche commerciali della grande distribuzione, che negli ultimi 15 anni si sono fatte sempre più aggressive. “Dal 2006 al 2016 – denuncia la CGIA di Mestre – il valore delle vendite al dettaglio della piccola distribuzione (artigianato di servizio e piccoli negozi di vicinato) è crollato del 13,1 per cento; nella grande distribuzione, invece, è aumentato del 6,2 per cento. Questo trend è proseguito anche nei primi 6 mesi di quest’anno: mentre nei supermercati, nei discount, nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dell’1,3 per cento, nei piccoli negozi la diminuzione è stata dello 0,6 per cento“.
Per quanto riguarda le aree geografiche ovviamente – ahinoi! – a “primeggiare” è stato il Sud con un segno meno di ben 12,4 per cento. E, nel Mezzogiorno, a vincere la speciale classifica è stata proprio  e di gran lunga la Sardegna, con un meno 17,1, seguita da Abruzzo (-14,5 per cento), Sicilia (-13,5 per cento), Molise (-13,2 per cento) e Basilicata (-13,1 per cento)!!! Il calo comunque riguarda tutte le regioni, Nord incluso, dove si registrano in termini assoluti i “meno” più vistosi, con in testa la Lombardia (-18.652 unità in 9 anni), seguita da Emilia Romagna (-16.466), Piemonte (-15.333) e Veneto (-14.883).
In generale, tra le categorie artigiane più colpite dalla crisi si segnalano gli autotrasportatori (-30 per cento), i falegnami (-27,7 per cento), gli edili (-27,6 per cento) e i produttori di mobili (-23,8 per cento). Invece sono cresciuti di numero i parrucchieri ed estetisti (+2,4 per cento), gli alimentaristi (+2,8 per cento), i taxisti/autonoleggiatori (+6,6 per cento), le gelaterie/pasticcerie/take away (+16,6 per cento), i designer (+44,8 per cento) e i riparatori/manutentori/installatori di macchine (+58 per cento).
Che fare? Secondo il segretario della CGIA Renato Mason “è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano”. In pratica, la CGIA chiede “uno sforzo culturale che porti a una radicale riconsiderazione del valore sociale del lavoro artigianale che con l’avvento della rivoluzione digitale subirà dei cambiamenti epocali“. Un tema quest’ultimo su cui riflettere con attenzione e, forse, con la dovuta prudenza, tenendo conto di tutti gli aspetti insiti nelle rivoluzioni tecnologiche.