Il ritorno in auge della questione riguardante l’impianto termodinamico di San Quirico offre lo spunto per alcune considerazioni. Partirei richiamando questa dichiarazione :“È necessario che le regioni e le città d’Europa e degli Usa siano più che mai unite nella lotta ai cambiamenti climatici e nella difesa degli impegni presi a Parigi. Attraverso il Patto dei Sindaci abbiamo aperto relazioni che si vanno sempre più consolidando. Non faremo mancare il nostro supporto per raggiungere l’obiettivo comune: consegnare alle prossime generazioni un mondo migliore”. Cosi tra l’altro si esprimeva il nostro Presidente Francesco Pigliaru nella recente Conferenza globale dell’ONU COP23 sul clima. E’ toccato, dunque anche a lui, in qualità di delegato a Bonn del Comitato europeo delle Regioni, formulare l’ennesimo proclama in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Di questi proclami e di queste conferenze globali sul clima ne abbiamo avuto a decine (prima di COP 23 abbiamo avuto COP 22 ancor prima COP 21 e così via a ritroso). Nel frattempo la WMO (World Meteorogical Organisation) ci informa che: Concentrations atmosphériques de CO2 ont augmenté à un rythme record en 2016, en raison des activités humaines et d’un puissant el Nino.
A questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti che per affrontare seriamente la questione dei cambiamenti climatici, e non solo, è prima necessario porsi la fatidica domanda: è possibile o meno conciliare crescita economica e tutela degli ecosistemi terrestri?
La risposta negativa al quesito, oltrechè diffondersi sempre più nel comune sentire delle persone, è sostenuta da tante autorevoli ed inascolatate voci accademiche; tra queste quella che ai miei occhi ha avuto il pregio di porsi con maggiore completezza ed incisività critica rispetto al mito economico dominanate è quella espressa fin dagli Anni 70 dall’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen (1906 – 1994). Il suo pensiero assai articolato e alla base della cosiddetta «bioeconomia», merita una trattazione separata e più approfondita che mi propongo di fare in altra sede. Azzardando qui una sintesi estrema si può dire che egli contestava aspramente l’economia tradizionale rea di essersi costituita come scienza a se stante, completamente sganciata dalle dinamiche dell’ecositema terrestre, di talchè i fenomeni economici oggetto dei suoi studi, e segnatamente i rapporti tra imprese e famiglie, sono stati dalla stessa collocati in una sorta di sostrato neutro, quello terrestre, indifferente alle loro vicende. Nella realtà però così non è, posto che ogni attività economica utilizza flussi di materia ed energia attinti dall’ecosistema e deve quindi inevitabilmente fare i conti con le leggi della termodinamica, in particolare con quella di entropia, secondo la quale nel sistema terra, sostanzialmente chiuso (salvo l’apporto solare) la quantita disponibile di materia ed energia (bassa entropia) è limitata, ed ogni suo impiego da un lato la consuma irreversibilmente e dall’altro carica l’ecosistema di rifiuti solidi e gassosi (alta entropia) che esso non è in grado di metabolizzare se non nei tempi lunghissimi dei cicli biogeochimici. Cosi anche per la CO2 ed in genere per i cd. gas serra. Ecco perchè Georgescu-Roegen così replicava già nel 1972 (sic!) agli appelli per migliorare l’ambiente contenuti nella «Dichiarazione sull’ambiente Umano» della conferenza ONU di Stoccolma : «vi è in questo caso l’errore di pensare che l’uomo possa invertire la rotta dell’entropia. La verità per quanto spiacevole è che tutto ciò che possiamo fare è impedire ogni consumo non necessario delle risorse e qualunque deterioramento non necessario dell’ambiente, ma senza credere di conoscere il preciso significato di non necessario in questo senso». Si potrebbe soggiungere, che questa mancanza di assolute certezze non potrebbe che riguardare anche la stessa teoria entropica («il nostro mondo fisico non è un orologio, ma un caos imprevedibile!» affermava il premio Nobel Ilya Prigogine) e tuttavia credo che Georgescu-Roegen, come confermato da plurime evidenze scientifiche, definisca con serietà e precisione i termini della questione: si tratta, cioè, di smettere di massimizzare produzioni e consumi e passare a gestire prudentemente ciò che la natura ci offre. Diciamolo francamente: quanti di noi scrutano gli orizzonti delle proprie intraprese valutando l’impronta ecologica che esse lasceranno? Ma ancora prima, quali fra le nostre istituzioni fanno questo? E qui ritorniamo al nostro amato Presidente Pigliaru, il quale da un lato lancia gli appelli sul clima e dall’altro pone la propria firma in calce alla positiva valutazione di compatibilità ambientale dell’ “Impianto solare ibrido termodinamico”, proposto dalla Società San Quirico Solar Power S.r.l.. Intendiamoci, egli non ha nessuna particolare responsabilità, in quanto, verosimilmente – lo vogliamo presumere fino a prova del contrario – si tratta di un provvedimento perfettamente legittimo. Ma è proprio questo il punto e cioe l’evidenza plastica delle contraddizioni del sistema. Tra i parametri VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) la legge non ne prevede uno che, nel caso di specie, proprio per quanto detto è fondamentale e cioè il c.d. EROEI (“Energy Return On Energy Investment”), il quale misura il rapporto esistente fra l’energia che si ricava durante la vita attiva di un impianto (output) e quella consumata per realizzarlo, gestirlo e smantellarlo (input). Le centrali, in tutto o in parte a biomassa, come quella di cui si propone la realizzazione in agro di San Quirico, hanno, peraltro un buon EROEI, se raffrontato a quello degli impianti termoelettrici a combustibili fossili, ma a patto che la biomassa utilizzata sia prelevata a bocca di centrale (la letteratura scientifica parla di max 50 km) e possibilmente se costituita da residui di attività agricola o silvicola, o tutt’al più da colture cedue a rapida rotazione (che però porrebbero altri problemi di impatto ambientale), ciò che non è ancora dato comprendere se accadrebbe o meno nel nostro caso.
Ma forse, ancor prima di queste considerazioni, il giudizio di «non necessarietà» di questo impianto, per dirla con Georgescu-Roegen, è legato al semplice fatto che con la sua realizzazione si mortificherebbero ottimi terreni agricoli per iniziative che comporterebbero ulteriore rilevanti emissioni di CO2 in un’isola che ne ha già tantissime per effetto del surplus di energia elettrica prodotta rispetto al proprio fabbisogno. Ovviamente, per quanto mi riguarda, in presenza di siffatte condizioni, sono da considerarsi assolutamete irrilevanti le entrate economiche, peraltro esigue, di cui andrebbe a beneficiare il Comune di Oristano.