In attesa – ormai breve – delle Regionali sarde, ieri abbiamo potuto assaggiare l’antipasto elettorale abruzzese. Certamente gli amici leghisti avranno anche brindato con un bicchiere di Montepulciano, dal momento che – indiscutibilmente – sono stati loro, insieme – ovviamente! – al neopresidente Marco Marsilio (Fratelli d’Italia), gli unici, veri vincitori di questa competizione elettorale. Infatti, assente nel 2014, la Lega del ministro social Matteo Salvini, ha ottenuto uno strabiliante 27,53% con 165000 voti, il 56 dei voti di tutto il Centrodestra. Un trionfo, reso ancor più evidente dal confronto con il pur ottimo risultato ottenuto alle recenti Politiche, in cui la Lega aveva “incassato” 105000 voti.
Si diceva poi di Marco Marsilio, scelto da circa 300000 cittadini abruzzesi, il quale ha superato di oltre 100000 preferenze Giovanni Legnini, espressione del cartello di Centrosinistra, che governava la Regione (Giunta D’Alfonso), fermatosi a quota 195000. In termini percentuali parliamo rispettivamente del 48,03 % contro il 31,28. Nel 2014 Luciano D’Alfonso, già sindaco e presidente della Provincia di Pescara, ora senatore PD, era stato eletto con una percentuale più bassa (46,26 %), ma con un numero di voti maggiore rispetto a Marsilio, 319.800. Tuttavia il risultato di Marsilio è nettamente superiore – oltre 97000 suffragi – a quello ottenuto dal candidato di Centrodestra alle scorse regionali, Giovanni Chiodi. A tal proposito va però ricordato che Chiodi, proprio nel 2014, insieme a molti altri assessori e consiglieri regionali, era finito sotto inchiesta per le “spese pazze” in Regione (da questa vicenda giudiziaria l’ormai ex presidente ne è uscito assolto nel 2018). Dunque anche il nuovo “governatore” ha buone ragioni per brindare, così come il suo partito, Fratelli d’Italia, che rispetto al 2014, raddoppia i propri voti passando da 19856 (2,9 %) a 38894 (6,48 %), confermando così il già positivo risultato delle politiche 2018.
Apriamo ora il (lungo) capitolo degli sconfitti, iniziando dalla democrazia elettorale: infatti la partecipazione al voto è – ancora una volta! – calata, in questo caso di oltre 8 punti percentuale (53,1 rispetto al 61,55 del 2014), che, in numeri, significano 102000 votanti in meno!!!Ovviamente ai politici questo è il dato che interessa meno, dal momento che per eleggere qualcuno o qualcosa è sufficiente anche soltanto un “solingo” votante. A parzialissima consolazione e compensazione si sottolinea la consistente diminuzione delle schede non valide, scese da 54373 a 18700.
Altro grande sconfitto è il Partito Democratico, il cui consenso è crollato da 171520 voti, ottenuti nel 2014, a 66769!!! Una vera Caporetto elettorale, che però ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla dirigenza di questo partito, nonostante l’ulteriore calo di circa 39000 voti rispetto alle stesse deludenti Politiche dello scorso anno. Complessivamente, sempre rispetto alle Regionali 2014, il Centrosinistra, presentatosi anche stavolta con 8 liste, perde circa 126000 voti, quasi tutti, dunque, del PD!
Non va meglio a Forza Italia: 54223 voti, rispetto ai 112316 del 2014 ed ai 109802 delle ultime Politiche. E’ l’ennesima inconfutabile prova dell’irreversibile crisi di “forza” (elettorale) del principale soggetto politico della destra italiana. Tuttavia, trattandosi di un partito padronale, oggi non si riesce a vedere quali possano essere le vie d’uscita e quale possa essere il futuro stesso degli Azzurri.
Più complesso è il caso di M5S, che, tra l’altro, ha ripresentato la stessa candidata alla presidenza del 2014, Sara Marcozzi. Cinque anni fa la giovane esponente grillina ottenne 147000 voti (21,3 %), mentre la lista ne ebbe 141000; ieri invece rispettivamente 126000 e 118000 voti, poco più di 20000 suffragi in meno. Un calo che, in termini percentuali, può tranquillamente definirsi lieve. Ma c’è un grande, enorme, gigantesco “ma”: il letale confronto con le Politiche 2018, in cui M5S ha ottenuto 303000 voti, quasi il 40 % del totale. In pratica oltre la metà degli elettori grillini, soltanto undici mesi dopo, ha cambiato idea!!! Come mai? Si tratta di crisi di fiducia, di delusione degli scontenti, oppure è la solita scarsa competitività di M5S quando entrano in scena i voti di preferenza? Forse entrambe queste cause possono spiegare tale risultato, certamente insoddisfacente in rapporto alle premesse e forse alle stesse attese interne. Risultato che però attesta un ormai consistente radicamento dei pentastellati anche a livello locale.
Per quanto riguarda i “piccoli” vanno rimarcati sia il positivo risultato di “Abruzzo in Comune”, il giovane partito di Centrosinistra, guidato dall’ex grillino Pizzarotti, che ha ottenuto 23168 voti (3,86 %), riuscendo probabilmente ad eleggere anche un consigliere, e, nel contempo, i soli 3000 voti presi dal candidato di “Casa Pound”, Stefano Flaiani. A tal proposito giova ricordare che anche nel 2014 era presente un outsider, Acerbo, che, sostenuto da una lista civica, ottenne oltre 21000 preferenze, superando il 3 %.
Quali indicazioni si possono trarre dalle Regionali abruzzesi in vista delle consultazioni sarde? Beh, i numeri parlano da soli, con conclusioni facilmente accessibili. Va però ricordato che il quadro politico sardo è molto più complesso di quello abruzzese, con tante incognite e variabili, tra cui quella “indipendentista”, anche se – purtroppo!, ancora una volta troppo frammentata per essere realmente competitiva. In più, oltre alla deludente Giunta uscente di Centrosinistra, va tenuto ben presente lo stato di tensione che stiamo vivendo in questa vigilia elettorale, con la clamorosa protesta delle organizzazioni agropastorali, la stessa irrisolta vertenza Air Italy-Olbia, che rischia di danneggiare pesantemente quel territorio, e, certamente non ultimo, il diffuso malessere sociale, ormai avvertibile persino in realtà tradizionalmente quiete come Oristano. Tutti questi fattori non possono non influenzare il voto (ed il non voto).
Tuttavia dal responso delle urne abruzzesi si può trarre almeno una fondata indicazione: infatti i due poli tradizionali, di Centrodestra e Centrosinistra, pur modificati internamente quanto a rapporti di forza, appaiono essere di nuovo le aggregazioni principali del quadro politico. La capacità camaleontica della Lega di conquistare ampie fette del voto di protesta, calamitando nel contempo anche quei settori moderati ma geneticamente bisognevoli dell’uomo forte, del “capitano” – quale Berlusconi evidentemente non può più essere – in pochi mesi ha rimescolato le carte. Dall’altra parte, nonostante tutto, il Partito Democratico, pur in gravissima difficoltà, ha ancora a disposizione una cospicua e fedele base elettorale, che potrebbe utilmente collegarsi con altri movimenti filo-progressisti affacciantisi ora nell’agone politico-elettorale.