Il 24 febbraio è stato già consegnato alla storia, a quella collettiva ma anche a quella individuale dei candidati, la gran parte dei quali sta adesso confrontandosi con gli amari numeri della sconfitta. Numeri in qualche caso importanti, cospicui, che però, anche per alcuni meccanismi perversi di questa nostra contorta legge elettorale, ne impediranno comunque l’ingresso in via Roma, magari dopo settimane di spasmodica attesa di conteggi e riconteggi e fors’anche dopo estenuanti appendici nelle aule delle corti competenti.
In effetti questa ultima calda e tesa giornata elettorale ha riservato diverse sorprese, positive ma soprattutto negative, a livello di coalizioni, di partiti e di singoli candidati. Sorprese che, poi, hanno sconvolto e stravolto il quadro politico precedente, sia a livello generale sia dentro le singole coalizioni.
Per quanto riguarda i dati politici salta subito agli occhi, oltre all’inequivocabile trionfo del Centrodestra, sul quale – sondaggi ed exit poll, a parte – onestamente v’erano pochi dubbi, il tonfo, stavolta evidente ed esplicito, del Movimento 5 Stelle. Certo sfavorito dal cambio in corsa del candidato presidente, il (non)partito di Grillo però deve fare i conti con un assestamento senza fine, con infiniti problemi interni, con una classe dirigente un po’ troppo improvvisata, sulle cui “qualità” ormai si stanno concentrando ogni giorno di più gli strali degli avversari, con una crisi economico-finanziaria nazionale sempre più pressante e preoccupante, con un governo in cui la leadership del suo principale rappresentante, Luigi Di Maio, stenta ad emergere ecc. ecc. E tra tre mesi le Europee, che rischiano di essere, per questa formazione politica, una Caporetto senza Piave. Si attendono però novità importanti a livello soprattutto di organizzazione interna e di rapporti elettorali con altre forze affini.
Ma non si può sorvolare nemmeno sulla fine ingloriosa di tutti quei partiti, movimenti e coalizioni cosiddetti “identitari”: il Partito dei Sardi di Paolo Maninchedda, l’ennesima lista-partito di Mauro Pili, l’ensamble di sigle raccoltesi in Autodeterminatzione. Circa 57000 voti inutili, che non avranno alcuna rappresentanza, e che ripropongono l’annoso problema del come mettere in piedi – finalmente! – una forza politica sarda competitiva e in grado di recitare un ruolo di primo piano nell’agone politico, interloquendo “inter pares” con la politica italiana ed europea. Eppure il punto di partenza, consegnato dalle urne del 2014, era un tesoretto davvero cospicuo: infatti mettendo assieme i voti anche soltanto delle varie liste non riconducibili ai due poli tradi(na)zionali (le tre liste a sostegno di Michela Murgia, la lista pro Devias, il Partito dei Sardi, le quattro liste per Mauro Pili, e i Zonafranchisti a sostegno di Gigi Sanna), si ottenevano numeri piuttosto interessanti, oltre 110000 voti, che diventavano oltre 130000 dati ai candidati presidenti. Un patrimonio che però in questi cinque anni, non trovando un’adeguata risposta politica, evidentemente s’è in buona parte (dis)perso. Quali potrebbero essere i nuovi possibili percorsi è oggi difficile dirlo. Certo la rotta non può essere quella tracciata da Maninchedda e da Pili, di forze politiche cioè costruite “attorno a” e “per” un leader, senza un reale radicamento nei territori (ad esclusione di quelli in cui lo stesso leader ha le sue radici), senza una classe dirigente riconoscibile e strutturata, senza una forte e solida capacità di mobilitazione, al di là delle pur dialetticamente efficaci quanto elettoralmente sterili campagne sul web. Peraltro colpisce negativamente il fatto che proprio persone della statura intellettuale e dell’esperienza politica di Maninchedda, o della sagacia e del mestiere politico di Mauro Pili, si siano lanciate all’attacco come Oreste Barattieri ad Adua! Ma così fu! E oggi ripartire da queste macerie non sarà facile, anche perché il tempo trascorre … inesorabile!
Non va molto meglio a quelli che, solo un anno fa, erano ancora i principali attori della scena politica italiana: Forza Italia e Partito Democratico. La prima rispetto al 2014 perde poco meno di 70000 voti (da 126000 a 57000), che però si riducono a 40000 se nel computo si considera la lista dell’azzurro Tunis, che ha sfiorato quota 30000 suffragi. Non va meglio al PD sardo che scende da 150000 a 95000 voti. Piccola consolazione per gli eredi di DS e Margherita il primato di prima forza politica isolana. In tempi di vacche molto magre anche un trofeo di legno può essere utile, guardando al futuro. Molto male anche l’UDC del veterano Oppi, che vede dimezzati i suoi consensi.
Invece tra i promossi, oltre alla Lega (80000 voti), presentatasi per la prima volta con il suo vessillo, c’è sicuramente il Partito Sardo d’Azione del nuovo presidente Christian Solinas, che dai 31000 voti del 2014 sale agli attuali 70000, con un saldo attivo di ben 39000 suffragi. Bene anche Fratelli d’Italia che segna un cospicuo segno “+” passando da 19000 a 33500 voti e la stessa Fortza Paris, che raccoglie 11500 voti rispetto ai 5000 del 2014, quando però sostenne Mauro Pili.
Più o meno allo stesso modo sono andate le cose a livello provinciale. Qui però è il partito di Salvini, a vincere la competizione per la forza politica più votata con i suoi 8580 voti. Succede a Forza Italia che nel 2014 ne aveva totalizzato 14000, ridottisi questa volta a 5000 e rotti!!! Va però ancora una volta sottolineata la presenza della lista del forzista Tunis, che, tra l’altro proprio nell’Oristanese ha ottenuto una delle sue migliori performance, con 4400 suffragi.
Per quanto riguarda le altre principali forze politiche, il Partito Democratico sprofonda da 12150 voti a 7570, l’UDC frana da quota 5775 a 2339, i Riformatori calano da 4920 a 4180, Rifondazione da 700 a 280, mentre il Partito sardo d’Azione sfiora i 5000 voti, segnando un + 227 % rispetto al 2014, quando di voti ne raccolse 2280. Ottimo anche il risultato di “Sardegna in Comune” che mette assieme 2530 voti. Bene anche le sinistre schierate con Zedda: tra esse LeU che ottiene 1800 voti e Campo Progressista che ne prende 930.
Per quanto riguarda M5S, raggiunge quota 5900, che gli consentirà di eleggere un consigliere regionale.
Infine Oristano città, dove risaltano i tracolli di FI – da 2752 a 896 (ma Sardegna 20Venti – Tunis ne prende 760) -, dei Riformatori (da 1097 a 668), del Partito dei Sardi (da 871 a 426) e di Mauro Pili, che precipita da 1420/1280 (le liste) voti ai soli 669/565 del 2019. L’UDC ottiene 735 voti rispetto agli 844 del 2014, mentre, tra le performance migliori oltre alla “solita” Lega (2079 voti), vanno segnalati gli 861 voti del PS d’Az (+ 685 rispetto al 2014), i 1095 voti di Sardegna in Comune, trascinata da Anna Maria Uras, che con i suoi 734 suffragi è stata la più votata in città, i 654 voti di FdI (+ 497 rispetto al 2014) e i 512 voti di LeU.
I “Grillini” invece hanno ottenuto 1341 voti.
Dunque anche in provincia ed in città gli equilibri politici sono profondamente mutati: lo dimostrano le repentine cadute elettorali di big come Oscar Cherchi – ben 2500 preferenze in meno rispetto al 2014!!! – Mario Tendas, Giuliano Uras, ed i risultati non esaltanti di altri nomi importanti, da Mauro Solinas (723 voti) a Gianni Tatti (830 voti), da Pisanu (727) a Cinellu (792) e Greco (289). In particolare per quanto riguarda Oristano città, l’attuale situazione del Centrodestra appare profondamente diversa da quella emersa dalle vittoriose Comunali di giugno 2017, per cui non è certo inverosimile attendersi nuovi assestamenti dentro la maggioranza che sostiene la Giunta Lutzu. Giunta che, peraltro, dovrà impegnarsi per uscire da un anonimato amministrativo che ne ha caratterizzato questi primi 20 mesi di mandato. Un anonimato che inizia a suscitare in qualcuno una prima stillazione di nostalgia nei confronti della precedente amministrazione di centrosinistra, che nel suo monadico sindaco trovò perfetta espressione.
Per vedere la portata e la rapidità di questi assestamenti occorre però attendere l’ufficializzazione dei nuovi consiglieri regionali. Infatti, a parte i sicuri Emanuele Cera (FI, 2300 voti rispetto ai 3200 del 2014), Domenico Gallus (Sardegna20Venti, 1920 voti rispetto ai 2570 del 2014), Annalisa Mele (Lega, 1082 voti), Alessandro Solinas (M5S, 847 preferenze), ballano altri due se non tre posti. In lizza vi sono il “dominus” del PD oristanese, Antonio Solinas, il più votato nel collegio con le sue 2700 preferenze (600 in meno rispetto al 2014), un altro uscente, Alfonso Marras, ex UDC passato nel 2018 ai Riformatori – anch’egli oltre quota 2000 (2132 finora, di cui ben 1345 nella sua Bosa, con un incremento di oltre 1000 voti rispetto al 2014) -, Francesco Mura (FdI, 1300 preferenze), Diego Loi (Noi, la Sardegna, 770 preferenze), e Anna Maria Uras (Sardegna in comune, 1224 voti). La sorte di quest’ultima sembra legata alle decisioni che Massimo Zedda prenderà: consiglio regionale o Comune di Cagliari.