E’ di questi giorni il via libera parlamentare all’ennesima riforma della cosiddetta legittima difesa, stavolta voluta fortemente dalla Lega. La nuova legge presenta soprattutto la grande novità della modifica degli articoli 52 (Legittima difesa) e 55 (Eccesso colposo) del Codice penale in senso esplicitamente favorevole alla vittima di un atto criminale che, in caso di violazione di domicilio o “di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”, “compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”, alla quale viene, tra l’altro, riconosciuto lo “stato di grave turbamento, derivante dalla situazione”. Sull’urgenza di questa riforma c’è stato il solito clamore suscitato dalla politica e veicolato in maniera roboante – e, talvolta, superficiale – dai media, che ovviamente ha portato l’opinione pubblica a dividersi in opposte tifoserie, corrispondenti più o meno alle culture – bah! – politiche che hanno sostenuto o osteggiato questa legge: da una parte i leghisti, dall’altra i progressisti. I primi hanno spinto soprattutto sul diffuso sentimento di insicurezza, su alcuni recenti ed eclatanti casi di rapine particolarmente violente, e, per contro, su altri, controversi casi di mancato riconoscimento della legittima difesa alla vittima, che per la legge invece sarebbe stata – uso il condizionale innanzitutto perché non conosco gli atti e le vicende – uno spietato giustiziere meritevole perciò di pena esemplare (e di pagare un cospicuo risarcimento ai malviventi per illecito doloso). I progressisti hanno invece rimarcato il primato dello Stato di diritto, e dunque della gerarchia costituzionale dei valori e dei beni da proteggere – su tutti la vita di chicchessia – l’imprescindibilità del ruolo di garante della sicurezza delle forze dell’ordine, e, con esso, dell’intervento della magistratura per l’accertamento dei fatti, senza limiti costituiti da presunzioni di innocenza imposte per legge. Inoltre hanno palesato e paventato addirittura il rischio della proliferazione di nostrani Paul Kersey, Corvi e quant’altro, fautori di una vendicatrice giustizia sommaria stile far west, nonché il pericolo di una corsa ad armarsi per difendersi da soltanto ipotetiche ondate di aggressioni, dal momento che furti, rapine ed anche gli omicidi in Italia sono in costante calo almeno dal 2015. Purtroppo anche stavolta si è persa un’importante occasione per una discussione approfondita ed articolata su un già di per sé complesso e delicato tema, che potenzialmente riguarda tutti e che, davvero, può cambiare il corso dell’esistenza soprattutto delle persone che malauguratamente dovessero trovarsi loro malgrado coinvolte in simili accadimenti e sopravvivervi, sia che reagiscano sia che non lo facciano. Un tema che anche dal punto di vista della Lex si presenta quanto mai articolato perché vi si incontrano – e scontrano – diversi diritti ed interessi primari, in determinati casi contrastanti: innanzitutto il diritto alla vita, ma anche quello alla sicurezza – almeno dentro il proprio domicilio – quello alla proprietà e dunque alla difesa dei beni legittimamente posseduti, e – last but not least – quello all’autoconservazione, in base al quale un individuo mette in atto tutta una serie di comportamenti più o meno acconci a salvare la pellaccia. Qui si intende proporre solo qualche riflessione personale come piccolo contributo ad una doverosa discussione su questo tema, che non può nascere sempre e soltanto sull’onda emozionale di qualche fatto particolarmente grave, con, tra l’altro, il rischio di produrre provvedimenti quantomeno confusi, del genere, per esempio, dell’ “omicidio stradale”.
Vorrei iniziare dalla definizione di microcriminalità usata oggi a proposito di molti reati quali furti, scippi e borseggi, atti vandalici e “bullistici”, spaccio, truffe, compiuti da singoli ma anche da gang più o meno organizzate. Una definizione che mi sembra quantomeno fuorviante: infatti di “micro” questa criminalità ha solo l’etichetta non certo la pericolosità! D’altronde anche se per qualcuno è figlio di un allarmismo ingiustificato dai “numeri”, il senso di insicurezza sempre più diffuso tra le persone, in particolare tra gli anziani, e nei grandi quartieri periferici delle città – adesso però anche nei piccoli e piccolissimi centri – non può avere come “mamma” la sola televisione! Del resto 1189000 furti e 28390 rapine denunciati nel periodo agosto 2017-luglio 2018 non sono poi così pochi, anche se la diminuzione rispetto anche all’anno precedente appare evidente: rispettivamente “meno” 113000 e 3600. Una diminuzione collegata anche alla maggiore difficoltà di mettere a segno colpi un tempo più facili: si pensi per esempio alle auto, oggi certamente meno vulnerabili di un tempo. Ma si tratta pur sempre, come dicevo, di oltre un milione di crimini, cioè di oltre un milione di vittime. Un numero di vittime che se moltiplicato per dieci anni fa dieci milioni di vittime, quasi sette volte la popolazione sarda!!! Da ciò, ossia da un dato concreto e reale e non soltanto da “paranoie” di fomite politico-propagandistico, deriva il succitato senso di insicurezza, di pericolo incombente ancor di più se dentro le proprie case, ed il conseguente sempre più esteso allarme sociale, del quale invece alcune parti politiche denunciano l’infondatezza. Tali parti politiche peraltro sembrano coincidere con una “cultura” cosiddetta pacifista “a prescindere”, radicalmente avversa alle armi, ai detentori ed agli utilizzatori delle stesse, se non proprio oplofoba. Lo si evince proprio dal ricorrere costante di alcuni degli argomenti utilizzati sia in questi giorni sia nel 2006, allorché vi fu una prima, importante revisione della legittima difesa. Allora questa riforma venne definita “norma incostituzionale in quanto pone sullo stesso piano il bene della vita e dell’incolumità personale e beni di carattere patrimoniale” (Giuliano Pisapia, all’epoca parlamentare di RC) “legge ingiusta che autorizza la legittima offesa” (Ettore Randazzo, allora presidente dell’Unione Camere Penali); e ancora licenza di uccidere, far west, cultura della frontiera ecc. ecc. Se si va a leggere i media di queste settimane, non sarà difficile imbattersi in questi stessi argomenti. Allora sorge spontanea la domanda: l’Italia è davvero un paese “armato”? Stranamente e curiosamente è difficile affermarlo con certezza: infatti pur consultando web e riviste specializzate non sono riuscito a trovare un dato ufficiale e/o comunque preciso sulle armi regolarmente denunciate, ma solo stime che peraltro oscillano da 4 a oltre 10 milioni. Per quanto riguarda i permessi d’arma invece si hanno numeri più precisi, anche se relativi al 2016: licenze di porto di fucile da caccia 580.000; licenze di porto d’armi per tiro a volo 456000; licenze di porto d’armi per difesa personale 18300; guardie giurate 47000. In generale però si può con certezza affermare che il “giustizialismo selvaggio”, paventato, come si è detto, già nel 2006 dagli oppositori alla riforma che istituì la “difesa legittima”, non c’è proprio stato. Anzi, gli omicidi sono addirittura diminuiti! Ciò dimostra anche un’altra cosa: non esistono “ricette” sicuramente funzionanti per scongiurare gli atti criminosi e, in particolare, che non c’è sistematica correlazione tra numero di crimini e di morti violente e la diffusione di armi da fuoco tra la popolazione. Infatti i Paesi europei con la maggior percentuale di diffusione delle armi da fuoco, Finlandia, Svizzera, Norvegia e Islanda, non sono certo in testa alle classifiche dei reati violenti, mentre nel Regno Unito, dove è in vigore una legislazione particolarmente restrittiva, nel 2017 il numero dei crimini è cresciuto fino a 5,3 milioni (+14% rispetto all’anno precedente), soprattutto stupri (29 % in più del 2016) rapine e furti, ma anche 6.694 reati commessi con armi da fuoco, che circolano – illegalmente! – in grande quantità nelle grosse città, Londra su tutte. Ma anche nella stessa Germania, altro paese dove è in vigore una normativa piuttosto severa in materia, l’allarme per l’aumento dei reati contro le persone e le cose, e l’insicurezza dovuta anche al gran numero di immigrati arrivati in questi ultimi anni, ha provocato una vera e propria corsa ad armarsi. Ma già nel 2009 più di due milioni di persone avevano un permesso d’arma per un totale di circa 5,5 milioni di armi regolarmente detenute su una popolazione di 80 milioni. Oltre a queste, secondo stime ufficiali relative sempre al 2009, ci sarebbero anche altre 20 milioni di armi illegali!!! Nonostante ciò la Germania dal 1995 al 2015 ha registrato un vistoso decremento di crimini legati ad armi da fuoco, da 783 a 130 di cui 57 omicidi. Dunque sul fronte dell’ordine pubblico e della sicurezza giocano un ruolo determinate altri fattori, quali la situazione economica e il disagio sociale, la diffusione e il radicamento della criminalità organizzata e/o di gruppi terroristici, il livello culturale e di scolarizzazione ecc. ecc. . In questo senso non vanno sottovalutate neppure la tradizione e la stessa cultura armiera di un Paese, oltre ovviamente alla presenza – e al peso – di un’importante industria di settore.
… continua