METAMORFOSI POLITICHE ORISTANESI [ADRIANO SITZIA]

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E’ destino che chi è chiamato a fare il Sindaco del Comune di Oristano, non possa mai dormire sonni tranquilli. Così è stato nella prima repubblica, così ancor di più nella seconda (quella della rivoluzione “illiberale” e dell’elezione diretta dei Sindaci e dei “governatori”), così – a maggior ragione? – accade nella terza repubblica (quella “civico-populista”), così quasi sicuramente sarà nella eventuale quarta repubblica (o forse “altro”). In generale l’antipolitica dilagante, alimentata certo dall’imperitura crisi socio-economica, dall’irresolubile inefficienza, dai “vizi” della classe politica, ma soprattutto da un martellante lavoro propagandistico che fa sempre (programmaticamente?) di tutta un’erba un fascio, ha soltanto demolito senza ricostruire. Ma Oristano, fin da subito, ha colto quanto affascinante ed “utile” potesse essere la polverizzazione del quadro politico e poi la sua doroteica “civizzazione”. Fino al capolavoro delle ultime Comunali con un’assemblea civica quanto mai articolata, soprattutto tra i banchi della minoranza, che, tra le altre sue particolarità, presenta quella d’esser costituita di tanti candidati a sindaco (manca solo Martinez).
Ora però la giunta Lutzu, che peraltro ha già avuto diversi subentri, può davvero cambiar pelle. Infatti il terremoto delle recenti Regionali, che ci hanno lasciato in eredità un quadro profondamente mutato rispetto alle elezioni comunali di ventidue mesi fa – sembra trascorso un secolo! -, ha pesantemente lesionato anche l’edifico politico del centrodestra oristanese, danneggiando soprattutto alcune sue parti portanti. Ed ecco, immancabili, i primi rilevanti e squilibranti movimenti: dapprima il ritorno, dopo lunga assenza, nell’aula degli Evangelisti del Partito Sardo d’azione, uscito rafforzato dal voto regionale anche nell’Oristanese – pur senza eleggere alcun “onorevole” -, attraverso l’adesione di un consigliere eletto in (o da) una lista civica; poi la costituzione di un nuovo gruppo consiliare da parte di due ex “forzisti” e – udite udite! – di due consiglieri di minoranza, uno eletto nell’ (o dall’) UDC e l’altro nel (o dal) PdS. E lo sciame sismico può non essere ancora terminato. Del resto, finché non sarà conclusa l’estremamente lunga costruzione della nuova Amministrazione regionale, con il suo cospicuo portato di nomine ed investiture, finché non si sarà assestato il quadro politico italiano con le Europee e le Amministrative e quello sardo con le Comunali di Cagliari, Sassari, Alghero ecc., nella città che fu di Mariano ed Eleonora si continuerà a navigare soltanto a vista, cercando di evitare gli scogli “aragonesi”.
Ma già queste due nuove fioriture primaverili non possono passare in secondo piano, se non altro per alcune loro specificità. Una di queste è proprio l’ingresso nella maggioranza del PS d’Az., che invece alle scorse Comunali s’era presentato con il Centrosinistra, sostenendo la sua candidata a Sindaco Maria Obinu e cioè, evidentemente, la continuità d’azione con la precedente Giunta Tendas, tanto avversata da Lutzu e da tutto il Centrodestra. Adesso, ovviamente, è prematuro anche solo intuire quale potrà essere il contributo sardista in termini politico-programmatici all’azione amministrativa della Giunta Lutzu. D’altro canto è chiaro che in qualche misura i Quattro mori si adopereranno almeno per incidere su decisioni e scelte che da qui in avanti l’attuale amministrazione sarà chiamata a prendere.
Un’altra particolarità è la curiosa coincidenza del ritorno sardista agli Scolopi quasi contemporaneamente alla scomparsa del Partito dei Sardi, il cui rappresentante consiliare, il dott. Pecoraro, ha deciso di aderire a “La civica Oristano”. Una terza riguarda lo stesso Vincenzo Pecoraro, oggi forse chiamato a sostenere proprio quell’Andrea Lutzu, del quale ventidue mesi è stato agguerrito concorrente alla testa di una coalizione civico-identitaria con l’UDC, che ottenne 2850 voti (17 %). Ora, indipendentemente dalle legittime decisioni di ogni singolo consigliere, in questo specifico caso lo sguardo va esteso al partito che lo ha eletto, quello dei Sardi ed alle sue strategie politiche ed organizzative. Ora il movimento fondato da Paolo Maninchedda, dopo l’inopinata scelta di correre da solo alle Regionali, comincia ovviamente a scontare le inevitabili ripercussioni dello smacco elettorale subito. Ma non va sottaciuto un altro fatto, e cioè che il PdS è stato finora un partito alquanto centralizzato e, conseguentemente, privo di una sua autonoma e riconoscibile struttura locale, la sola in grado, tra le altre cose, di supportare l’azione del suo consigliere comunale e di portare in mezzo agli Oristanesi la voce ed il pensiero del partito, costruendo consenso o, almeno, generando attenzione. Pensare che i risultati elettorali si raggiungano solo attraverso la visibilità mediatica del leader, adeguate adesioni pre-elettorali ed il consenso ottenibile da ogni singolo candidato locale dentro una lista ben costruita, oggi è strategia molto diffusa, forse efficace a breve termine per qualche exploit, ma politicamente arida e sterile e, a medio-lungo termine, anche elettoralmente improduttiva. In questo senso gli stessi numeri del PdS potrebbero costituire interessante materia di riflessione, in particolare per qualche altra forza politica – soprattutto d’ispirazione identitaria – che intenda adottare simili impostazioni politico-organizzative. Infatti alle ultime Comunali l’allora esordiente movimento di Maninchedda aveva ottenuto un buon risultato: 994 voti pari al 6,26 %, dotandosi di una base su cui, poi, costruire anche in città, il partito. Ma, alle Regionali del febbraio scorso, cioè soltanto venti mesi dopo, i voti sono stati soltanto 397 (2,95 %). Con tutte le cautele del caso, tenendo conto del diverso tipo di competizione elettorale – ma sia nelle Comunali che nelle Regionali c’è il voto di preferenza! -, è evidente che, almeno nel caso del PdS, qualcosa non ha funzionato.