“Era il maggio odoroso” del 1881, esattamente il giorno 22, quando, auspice l’allora sindaco Giuseppe “Pepico” Corrias, iniziava ad Oristano la “tre giorni” di cerimonie e festeggiamenti per l’inaugurazione ufficiale del monumento alla Giudicessa Eleonora d’Arborea, personaggio-simbolo non solo di una città, alla ricerca di un posto al sole, ma di un intero popolo, quello sardo, la cui bandiera era stata coperta da quelle dei suoi tanti dominatori giunti dal mare.
L’Oristano che aveva voluto fortemente tale opera era – come ama ricordare Gigi Piredda, che l’Ottocento arborense studia da anni con passione – quella del Canonico De Castro, di Corrias, di Enna-Floris, dell’esule garibaldino ing. Pietro Cadolini ecc., cioè di una classe dirigente che guardava al futuro della città con ambizioni davvero importanti.
L’iter burocratico-tecnico-finanziario per la realizzazione dell’opera era iniziato nel 1860 ed aveva dovuto superare una serie di traguardi ma anche di scogli, primo fra tutti quello del reperimento delle somme necessarie (alla fine il monumento arrivò a costare almeno 50000 lire, non meno di 150000 euro), per il quale furono fatte pubbliche sottoscrizioni e, soprattutto, una fruttuosa lotteria nazionale. Dopo il concorso di idee indetto da una commissione ad hoc sulla base di alcune indicazioni di massima, era risultata vincitrice la proposta dello scultore fiorentino prof. Ulisse Cambi, artista di impostazione classicista, già autore di importanti monumenti celebrativi pubblici sia nella sua città (Goldoni, Cellini ecc.) sia in altri centri italiani (famoso quello a Francesco Burlamacchi a Lucca). Il basamento fu invece progettato dall’architetto e scultore fiorentino Mariano Falcini, che aveva già collaborato con lo stesso Cambi. A sbozzare la figura della Giudicessa fu chiamato il rinomato studio del marmista e scultore carrarese Tommaso Lazzarini – probabilmente proprio quel Tommaso della dinastia dei Lazzarini (poi Lazzerini) che aveva collaborato con Christian Daniel Rauch, il Canova germanico, alla maestosa “Vittoria alata” del Walhalla, l’ottocentesco tempio “partenonico” dedicato alle glorie tedesche, a Regensburg (Baviera) – mentre il basamento venne affidato ad un altro laboratorio toscano, quello del Sandrini.
Chissà se e quando Oristano deciderà di offrire a se stessa e ai suoi visitatori qualche altro importante monumento. Anche da questo punto di vista il futuro alle sponde del Tirso appare assai grigio.