Se nel 2014 la Sardegna ha potuto avere “ben” tre europarlamentari – la pentastellata Giulia Moi, Soru e Cicu – stavolta la spietata legge della V Circoscrizione Sicilia-Sardegna è stata inesorabile: zero eletti sardi! Solo se il medico lampedusano Pietro Bartolo, eletto in due circoscrizioni, dovesse optare per il seggio della Circoscrizione del Centro Italia, allora il sindaco di Nuoro Soddu, primo dei non eletti, diventerebbe europarlamentare. Insomma, siamo alle solite: quello che dovrebbe essere un diritto dei Sardi, cioè l’essere rappresentati direttamente nel Parlamento europeo, secondo le leggi italiane diventa una sorta di atto di generosità, una graziosa concessione di qualcuno. Che, in quanto tale, non è detto che sempre accada.
Nell’inevitabile dibattito suscitato da questa ormai storica “stortura”, che la politica italiana però continua a rifiutarsi di addrizzare, nonostante sia sufficiente un semplice atto legislativo “a gratis”, e nonostante i ripetuti tentativi di farlo (ma spesso sono stati proprio dei parlamentari sardi a boicottare il lavoro di qualche collega di buona volontà), capita però di sentire dei pensieri “aborigeni” che spiegano molto bene perché la Sardegna politicamente non conta un *****! Proprio stamane me n’è capitato uno “europrogressista indigeno” che suonava pressappoco così: ma se a rappresentare le nostre idee in Europa è un siciliano, che c’è di male o di strano? Ora gli argomenti per rispondere a tale acuta, profonda riflessione sono molti e importanti. Tuttavia ne voglio proporre solo uno, sia perché molto banale sia soprattutto perché viene abitualmente utilizzato proprio dagli europrogressisti italici per convincerci che vale la pena di morire per Maastricht: vogliamo un’Europa unione di popoli liberi!!! Evidentemente però per qualche europrogressista locale i Sardi non sono un popolo e, dunque, non possono essere liberi. Non possono essere liberi neppure di scegliersi in proprio un paio di rappresentanti nel libero parlamento dei liberi popoli europei. Già, forse anche questo, almeno per loro, rientra nella categoria del “chiedere troppo”.