“FLIGHT SHAME” [LUCA PERDISCI]

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Qualche giorno fa nella rassegna stampa di Appunti Oristanesi veniva segnalato un articolo, pubblicato il 02 luglio sull’Unione Sarda, dal titolo: “Più treni, giusto ma ad un isola servono più aerei”, a firma di Giampaolo Cassitta. Il pezzo affronta la questione del trasporto aereo e lo fa da una prospettiva sicuramente diversa dal solito, sebbene, a mio modo di vedere, non abbastanza. In modo lodevole si evitano, innanzitutto, i soliti discorsi (specialità della casa nell’informazione del gruppo Unione Sarda- Videolina) sulle “cifre” degli scali aeroportuali sardi e sulle loro prospettive di infinita crescita, iniziandosi, invece, col citare Greta Thunberg, e dandosi conto, pur con qualche refuso nella traduzione dall’inglese, del fenomeno detto “flight shame”, e cioè di quella vera e propria vergogna del volo che parrebbe stia prendendo piede tra coloro che si rendono conto di quale sia la mostruosa entità delle emissioni di CO2 e più in generale degli agenti inquinanti rilasciati dagli aeromobili (dati rinvenibili diffusamente in Rete). Il giornalista prosegue giungendo, addirittura, ad esternare esplicitamente il proprio appoggio a Greta, ma quando si arriva al cuore del problema il tono dell’articolo cambia, riportandosi sulla vecchia mulattiera. In sostanza le sue conclusioni sono: stiamo con Greta, but not in my back yard. Cioè, va bene l’ambientalismo ma a fare il sacrificio di non prendere l’aereo siano altri, posto che la Sardegna è un isola e quindi i sardi sono legittimati non solo a prendere l’aereo ma finanche a pretendere a buon diritto più tratte aeree rispetto a quelle esistenti. Ora, questa considerazione, che astrattamente non può dirsi priva di buon senso, viene però argomentata in una maniera assai bislacca, per non dire risibile, posto che le preoccupazioni di Cassitta sono rivolte non solo – comprensibilmente – ai sardi che devono viaggiare per lavoro ma anche a “noi sardi” che a causa dell’esigua disponibilità aerea non siamo in grado: “di programmare le ferie ad agosto all’ultimo minuto in quanto rischiamo di non trovare il volo nei pochi posti a disposizione, non siamo in grado di costruire dei tour con altri compagni di viaggio del continente in quanto il più delle volte gli orari non combaciano con quelli dei tour operator e siamo costretti a pernottare un giorno a Roma o Milano, non possiamo programmare vacanze invernali… (sic!). Insomma, siamo alle solite, questi argomenti vengono trattati con insopportabile leggerezza rispetto ad una questione quella climatica di vitale importanza per tutti e forse ancor più per gli stessi sardi. Dopo avere finito questa lettura, vagando in rete in cerca di un tonico, mi imbattevo in una bella intervista ad un tal Giovanni Montagnani (https://www.corriere.it/cronache/19_maggio_22/02-interni-b6corriere-web-sezioni-7d0b6b80-7cce-11e9-adb6-a84199e1), giovane ricercatore al Politecnico di Milano, che dopo avere partecipato ad un simposio internazionale di scienze nucleari a Sidney stimava le emissioni (pro capite) prodotte dal suo viaggio aereo: «Tra andata e ritorno facevano circa 10 tonnellate di CO2, pari quasi al doppio delle emissioni che ogni italiano genera in un anno». Decideva quindi di rinunciare ai voli: «L’ho comunicato anche alla mia azienda, che ha della attività in Cina. Quando mi hanno chiesto: ma lei sarebbe disponibile a viaggiare? Ho risposto, no se devo prendere l’aereo». Ma allora è possibile immaginare che si possa ripudiare il trasporto aereo finanche per gli spostamenti di lavoro! A questa luce che dire dei tantissimi giovani e meno giovani che invece utilizzano gli aerei come taxi girovagando per l’universo terracqueo posto che è tutto low cost? In realtà abbiamo visto che parlare di low cost rispetto al traffico aereo è, a dir poco, una sciocchezza, espressione icastica di un imperante paneconomicismo secondo cui tutto nelle nostre vite si riduce ad un mero calcolo di costi e benefici economici e quindi la morale degli affari diventa la morale della nostra vita. In relazione ai voli aerei, ma non solo, sarebbe quanto mai opportuno ed impellente iniziare a spostarsi da una contabilità economica ad una contabilità energetica. In questo senso ritorniamo ancora a Montagnani: “In base all’ultimo report dell’Ipcc (la piattaforma dell’Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, ndr) ogni abitante del pianeta ha a disposizione tra le 100 e le 200 tonnellate di carbonio, per far sì che la temperatura non salga oltre i due gradi. Esaurito quel budget sarà impossibile contenere l’aumento». Si tratta di un approccio al problema analogo a quello adottato in Svizzera nel 2016 con il programma “Società a 2000 watt” (pari in un anno pro capite a 1,5 tonnellate equivalenti di petrolio, o 60 GJ, o 18.000 kWh), che ha tra i suoi molteplici pregi innanzitutto quello di portare fuori dalle vaghezze della astratta sostenibilità lo stock dei consumi energetici ammissibili pro capite e dall’altro di fissare in un range lo spazio per la libera e creativa scelta di consumi di ciascuno. Assai importante in questo progetto è anche anche il superamento, come criterio di azione individuale, del principio di efficienza a favore di quello di sufficienza nei consumi;” fare meno con meno risorse” e non “fare di più con meno risorse”. In questo contesto non si tratta quindi di emettere fatwe insindacabili contro gli aerei ma di essere consapevoli che un viaggio aereo è un lusso che ci si può permettere solo al prezzo di altre gravose rinunce di consumi energetici. Ma, non ci si può esimere dal constatare che questa consapevolezza non è cresciuta di pari passo con la facilità economica di accesso al trasporto aereo la quale, quindi, lungi dal potere essere senz’altro salutata come un fenomeno positivo – come ancora in tanti sostengono – per avere accorciato le distanze tra i popoli e permesso il volo a tutti i ceti sociali, va doverosamente criticata per aver concorso e concorrere significativamente a creare gli enormi problemi con cui stiamo iniziando a misurarci. Abbiamo già tra noi un chiarissimo esempio di analoghe fattezze, irrefutabile anche dai più scettici, come invece accade rispetto al clima. Mi riferisco a ciò che sta accadendo con la plastica monouso, la cui introduzione negli anni 60/70 venne salutata come evento di importanza epocale per l’umanità! Torno a dire, non si tratta di non consumare, posto che anche l’uomo è partecipe di quel grande processo metabolico che è la vita sul e del pianeta terra, ma abbiamo anche il dovere di farlo responsabilmente bilanciando i tanti interessi in gioco. Certo è che abbiamo ucciso Dio, abbiamo ucciso Socrate, Kant ecc ecc, ora sull’altare della tecno-economia assistiamo pure al sacrifico di Gaia. Chi potrà fornire all’uomo quei meta criteri che lo guidino nell’usare la tecnologia senza autodistruggersi? Forse aveva ragione Agostino: facciamo tacere i miti dominanti del nostro tempo e cerchiamoli, in interiore Homine, almeno fino a a quando anche il nostro più profondo essere non verrà riformattato!