L’Oristanese non appare quasi mai un convinto aquilifer né degli interessi politico-economici ma neppure delle ricchezze storico-architettoniche ed artistiche della sua città. Infatti, a parte l’intoccabile Sartiglia e una certa e spesso acritica eleonoromania, per il resto molti Oristanesi fanno fatica ad interessarsi con vera passione alla loro città, al suo aspetto ed al suo decoro, alla sua stessa storia ed ai suoi monumenti. Uno degli indizi più concreti in proposito riguarda l’unico vero importante monumento cittadino, quello ad Eleonora d’Arborea, con il lungo e spesso velo di “faulas” più o meno antiche che ne orpella il significato e la storia quasi a sminuirne l’importanza ed a destinare all’oblio chi proprio quel bel marmo volle donarci. Così per esempio ci è stato tramandato che la statua originariamente rappresentasse non la giudicessa arborense ma l’Italia, o che non fosse destinata ad Oristano bensì a Palermo ecc. ecc. Chiacchiere, mormorazioni, elaborazioni e rielaborazioni che poi, diffusesi ben oltre il perimetro urbano, sono diventate esse stesse in qualche modo storia, dacché fatte proprie persino da persone che la storia la conoscono e ne fanno pane quotidiano.
A controbilanciare tale autolesionistico sminuimento giunge finalmente un ricco e documentato volume, risultato di anni di ricerche archivistiche. Si tratta de ‘Il monumento ad Eleonora d’Arborea. Scena, retroscena, indagini e prospettive’. L’autore, Gigi Piredda, sta portando avanti ormai da parecchio tempo una sua personale ricerca su uno dei periodi insieme più importanti e negletti della storia della città: l’Ottocento. Lo studio è stato presentato, sabato sera, stavolta finalmente “in presenza”, dallo stesso Piredda all’Antiquarium Arborense insieme all’esposizione, sistemata nella sala del retablo del Santo Cristo, di tutta una serie di documenti originali relativi all’iter politico-burocratico ed artistico del monumento alla nostra grande Juighissa arborense.
Aprendo la sua illustrazione della ricerca, Piredda ha voluto premettere che, quasi pendant alla perdita di memoria sul significato del monumento, c’è stata localmente anche una grave perdita di documentazione originale, la cui carenza è stata faticosamente colmata attraverso una paziente ricognizione e raccolta di carte presso altri archivi e biblioteche. Tutto questo lavoro perché – ha sottolineato Piredda – “mi è parso assolutamente necessario il recupero del progetto ideale che sta alla base di questo monumento ma anche della memoria di chi lo ha voluto, entrambi come svaniti nel nulla. Si tratta di una classe dirigente locale, di una elite politico-culturale oristanese di matrice cattolico-liberale giobertiana, con punti in comune con il pensiero laico di importanti personalità come Carlo Cattaneo, e che trovò nel canonico De Castro la sua più alta espressione”.
La volontà politica di questi uomini era – secondo l’autore – quella di rivendicare per Oristano un ruolo centrale, liberandola dal soffocante abbraccio cagliaritano. Da qui il loro sforzo progettuale che si esplicò con una serie di idee ed iniziative ambiziose, rimaste però in gran parte irrealizzate, dal porto ad una nuova stazione ferroviaria in zona San Martino, ecc. ecc., in contrasto con analoghe azioni cagliaritane, che, invece, hanno avuto miglior sorte. E da qui appunto la stessa idea del monumento immaginato e voluto dall’Amministrazione locale, fin dal 1858, e per la cui realizzazione il nostro Municipio mise in campo una serie di atti ed iniziative, fin dal Comitato costituito ad hoc e dal giurì chiamato a tradurre in linguaggio artistico il proposito, capaci di coinvolgere non solo tutta la Sardegna ma anche il “Continente” e pure paesi esteri, nonché circoli, associazioni e la stessa Massoneria.
Per quanto riguarda il risultato artistico, Piredda ha rimarcato il fatto che l’artista aggiudicatario della realizzazione del monumento, lo scultore fiorentino di formazione neoclassica Ulisse Cambi (1807 – 1895), “guardò più al contenuto che al contenente”, vincolato com’era alle e dalle precise, stringenti indicazioni ricevute dal committente, che lo costrinsero a rivedere più volte la sua proposta, come appare ben testimoniato dai vari bozzetti pervenutici fino a quello definitivo, datato 1872 e firmato dall’architetto Mariano Falcini, colui che progettò il basamento della statua. Il risultato estetico quindi è un’idealizzazione di Eleonora, rappresentata come donna, monarca, legislatrice, guerriera e, come tale, eretta a simbolo della città e della sua indipendenza dallo straniero – la stessa indipendenza appena ottenuta proprio dal giovanissimo Stato italiano -, ma deve essere letto anche come speranzosa proiezione delle ambizioni da parte della classe dirigente cittadina di riconquista per Oristano di quell’importanza e centralità, determinate nei tempi passati proprio dall’azione della sua storica regina.
I succitati bozzetti – ha aggiunto Piredda – insieme alla rilevante documentazione reperita sullo stato di avanzamento dell’opera, realizzata non direttamente dal Cambi, che ne curò solo la rifinitura finale, ma dalla famosa bottega carrarese di Tommaso Lazzerini, “tolgono poi ogni dubbio sul soggetto rappresentato, con ciò mettendo auspicabilmente la parola fine alle leggende così diffuse ancora oggi”.
Piredda ha infine affrontato altri due punti interessanti: quello della collocazione cittadina della statua, ripercorrendo l’appassionato dibattito attorno alla scelta migliore che coinvolse tutta la città, e che riguardò varie proposte (inizialmente piazza Mariano, poi piazza Mercato/Roma, piazza Martini, l’attuale piazza Manno, che allora era appunto piazza Eleonora, per finire con il piazzale degli Scolopi, ingrandito attraverso la cessione di parte del giardino Spano); e quello relativo ad un altro luogo comune, quello sull’Oristano beghina e baciapile. “La classe dirigente oristanese dell’epoca – ha rimarcato lo studioso – era molto distante da questo clichè, evidentemente costruito su esperienze successive: lo dimostra la stessa assenza, per motivi di salute, dell’arcivescovo Bonfiglio Mura e di suoi rappresentanti all’inaugurazione della statua e la successiva – conseguente (?) – mancanza di una rappresentanza ufficiale dell’Amministrazione alle esequie dello stesso Monsignor Mura, l’anno successivo, giustificata da malattia o da trasferte fuori città di Sindaco e consiglieri”.
[Ulisse Cambi, monumento a Goldoni, 1873 – quindi coevo a quello oristanese -, Firenze, piazza Goldoni]