URNE SEMPRE PIU’ VUOTE, SCATOLE SEMPRE PIU’ PIENE [ADRIANO SITZIA]

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In questi giorni post-elettorali, scorrendo i risultati, il dato che più balza agli occhi – almeno di chi lo vuol vedere – è quello dei tanti Comuni dove era presente una sola lista, nonostante, tra l’altro, la riduzione (per decreto) ad un terzo del numero delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e delle liste in considerazione – almeno così è stato scritto dal legislatore – della situazione sanitaria (cfr. dl. 25/2021, art. 2, c. 1). Questo elemento, insieme all’ormai fisiologico calo della partecipazione al voto, dovrebbe finalmente far riflettere sulla critica situazione della nostra politica e sul crescente distacco tra la stessa e i cittadini, a dispetto dell’imponente dispiegamento mediatico messo in campo ancor di più in epoca covid con la “gggennte” costretta a casa! Invece proprio chi – i politici – dovrebbe avere a cuore lo stato di salute della democrazia italiana e delle sue espressioni assembleari, se ne strafotte  rifugiandosi dietro le comode percentuali e i quasi sempre buoni risultati o successi ottenuti (nella politica italiana, si vince persino quando si perde).
Per entrare in medias res vediamo un esempio eclatante: Olbia. Nel capoluogo gallurese, dove ancora una volta ha prevalso Settimo Nizzi, a fronte di un + 2428 cittadini aventi diritto di voto rispetto al 2016, gli olbiesi che hanno votato sono stati 1248 in meno!!! Questo caso peraltro fa emergere anche un altro aspetto: la sterilità di interesse che il bipolarismo secco genera. Infatti nel 2016 le coalizioni erano 5, ciascuna portatrice di una sua idea di città e di amministrazione, oltre che di una sua precisa caratterizzazione politica, e dunque in grado di suscitare appunto interesse e impegno sicuramente maggiori rispetto a due soli contendenti, magari pure non molto diversi tra loro.
Ma, tornando alla premessa, il dato davvero sconfortante è proprio l’infiacchimento politico in molti piccoli centri, peraltro già in difficoltà per calo demografico, spopolamento, distanza e inefficienza di collegamenti e servizi, mancanza di vere prospettive ecc. In pratica qui alle difficoltà, in mancanza di risposte concrete da parte della politica e delle istituzioni, i residenti, che evidentemente si sentono soli ed abbandonati a se stessi, reagiscono con l’astensione attiva e passiva dalle urne.Tra l’altro  per esaminare compiutamente il dato di cui sopra occorre tener conto anche di un altro fattore importante, se non proprio determinante negli esiti: infatti, se non fosse stato per il salvagente venuto dal citato dl 25/2021, che, tra le altre cose, ha abbassato – provvisoriamente? – al 40 % degli elettori pure il quorum necessario per la validità del risultato nel caso di unica lista ammessa e votata (art. 2, c. 1 bis), in molti di questi piccoli centri le elezioni sarebbero state nulle, perché i votanti non hanno raggiunto il “tradizionale” 50 %!!!

Ora, ladies and gentlemen, è cosa buona e giusta ricordare e ricordarci che viviamo ancora in una cosiddetta democrazia rappresentativa: certo una democrazia così così ma, soprattutto, con numeri come questi poco rappresentativa! I pericoli dell’ormai palese scollamento tra rappresentanti e rappresentati sono fin troppo ovvi, così come la sfiducia ed il malessere di un numero crescente di persone, coscienti – come qualcuno avrebbe detto – magari soltanto di ciò che non sono e di ciò che non vogliono, ma appunto per questo da ascoltare, rimotivare, coinvolgere. Altrimenti questo loro messaggio di disagio, se non adeguatamente interpretato da chi alla democrazia tiene davvero, potrebbe invece essere intercettato e proficuamente utilizzato da altri, che hanno una ben diversa idea di “…crazia”. Davvero vogliamo una “democrazia” senza la consonante iniziale?