MAMBO ITALIANO [ADRIANO SITZIA]

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Dopo il responso delle urne lombarde e laziali, inevitabilmente anche stavolta è andata in scena la solita recita politica, per cui, persino quando c’è un evidente tracollo elettorale, si risponde: “poteva andare peggio”, “tutti ci davano per morti e invece …”, “siamo un progetto giovane e dobbiamo imparare dagli errori” ecc. ecc. Del resto la politica partiticante molto raramente pratica l’outingcritica. Si preferisce far finta di niente, magari riconfermare figure che solo agli smemorati di Collegno non possono suscitare nessun brutto ricordo, o persino scaricare le colpe proprio sui cittadini che, disertando le urne, tradirebbero – a dire di questi signori – la stessa democrazia (quale?).

Ma chi ha vinto queste elezioni regionali? E chi le ha perse?

Beh, senza ombra di dubbio, le ha vinte chi governerà per cinque anni: Fontana e Rocca. E le ha vinte il polo o coalizione che ha sostenuto Fontana e Rocca: il centrodestra. Questo, infatti, è l’inequivocabile responso delle urne; questo è tutto ciò che, dal punto di vista istituzionale e “pratico”, è determinante.

Tuttavia, se si vuole ragionare in termini prettamente politici, non è marginale analizzare quanto accaduto, leggere con molta attenzione i numeri – quelli “veri” e non le “mitiche” percentuali, foglie di fico della politica politicante, perché consentono di trasformare magicamente le Caporetto in Vittorio Veneto (e lo vedremo) – e trarne qualche valutazione utile a comprendere in modo particolare come realmente stanno le cose per quanto riguarda il tormentato rapporto politica-società italiana.

Iniziamo con la Lombardia, che ha registrato un’affluenza del 41,68 % rispetto al 73,11 % delle precedenti regionali (2018). La percentuale più bassa si è registrata a Mantova con il 36,75 %.
Fontana, il rieletto presidente leghista, ha ottenuto 1.774.477 voti (54,6 %) rispetto ai 2.793.369 di cinque anni prima (49,75 %), cioè circa 1.020.000 voti in meno. Maiorino, candidato di PD, M5S et alii, ha ottenuto 1.101.417 voti (33,9 %). Nel 2018 il candidato alla presidenza del PD fu Giorgio Gori, che ottenne 1.633.373 voti (29,09 %), mentre quello dei Pentastellati, Violi, ottenne 975.000 voti (17,37 %), e il candidato di LEU Rosati, 108.400 voti (1,93 %). Dunque l’attuale centrosinistra, nel 2018 “sceso in campo” in ordine sparso, aveva ottenuto oltre 2.700.000 voti!!! Parliamo di una differenza di 1.600.000!!!
Se però si ragiona in termini percentuali, Fontana risulta avere ottenuto un + 4,85 %, mentre Maiorino un + 4,9 rispetto a Gori.

Per quanto riguarda le liste, la Lega ha ottenuto 476.175 voti (16,53 % e 14 seggi), rispetto al 1.553.787 del 2018 (29,65 %, 28 seggi), quando era di gran lunga il primo partito della regione. Stiamo parlando di 1.077.000 voti in meno, che però in termini percentuali diventano un accettabile – 13 % – infatti molti hanno parlato addirittura di scampato pericolo -. Forza Italia ha preso 208.420 voti (7,23 %, 6 seggi), rispetto ai 750.739 del 2018 (14,32 %, 14 seggi). Anche in questo caso i 542.000 voti in meno, diventano – 7,1 %, decisamente più “tranquillizzante”.
Il PD da parte sua, ha raggiunto quota 628.774 voti (21,82 %, 17 seggi) rispetto al 1.008.560 del 2018. In questo caso il partito di Letta, nonostante gli oltre 379.000 voti in meno, in termini percentuali addirittura cresce: + 2,58 % (infatti dovrebbe guadagnare 2 seggi).
Vediamo l’M5S: 113.229 voti (3,93 %, 3 seggi). Nel 2018 ne prese 933.382 (17,81 %, 13 seggi), cioè 820.000 in meno. In questo specifico caso però persino la differenza percentuale non può celare quello che è stato un vero e proprio disastro per il partito di Grillo!
Occorre poi ricordare che nel 2018 erano presenti, tra le altre, anche le liste di LEU (110.300 voti, 2,12 %), e “+ Europa” (108.000 voti, 2,07 %), oggi scomparse; e che Renzi non aveva ancora fondato ‘Italia Viva’.
Fratelli d’Italia è l’unico vincitore di questa competizione regionale con i suoi 725.402 voti (25,18 %, 22 seggi). Infatti, nel 2018, il partito dell’attuale Premier Meloni aveva ottenuto 190.838 voti (3,64 %, 3 seggi). Dunque si tratta di 535.000 voti in più o, in termini percentuali, di un eclatante + 21,54 %!!! Ma è altrettanto evidente che FdI non è riuscito a drenare il voto in uscita sia da FI sia dalla Lega. In questo senso deve essere ricordato che anche nel centrodestra del 2018 v’erano liste oggi scomparse. Tra queste l’UDC che ottenne 66.381 voti e la lista di Stefano Parisi, che ne raccolse 28.000.
Infine, eccoci al famoso Terzo polo liberal-riformista ‘Renzi-Calenda-Moratti’. La veterana Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, già sindaco di Milano, già ministro e ed ex assessore regionale uscente proprio con Fontana, ora candidata(si?) alla presidenza della Regione, ha ottenuto 320.346 voti. La sua lista invece ha raggiunto i 152.652 suffragi (5,3 %, 4 seggi), mentre la lista “Azione-Italia Viva” s’è fermata a 122.356 voti (4,25 %, 3 seggi). Onestamente non proprio un trionfo! D’altronde al giorno d’oggi, con una enorme sfiducia nei confronti della politica da parte dei cittadini, presentarsi come alternativi o quantomeno diversi con – sia detto senza intendimenti offensivi – minestre riscaldate, non pare essere una strategia vincente.

Passiamo ora alle elezioni regionali del Lazio, che hanno registrato un’affluenza del 37,20 % – Roma 35,17 %!!! – rispetto al 66,55 % del 2018 (-29,35 %).
Ha vinto Rocca del centrodestra con 935.000 voti ed il 53,8 %. Nel 2018 il candidato sconfitto del centrodestra, Stefano Parisi, ottenne 964.757 voti, pari al 31,18 %!!! In pratica 30.000 voti in meno ma un “trionfale” + 22,6 %.
Lo sconfitto D’Amato ha preso 581.000 voti, cioè il 33,5 %, rispetto al 1.018.000 di Zingaretti nel 2018, pari al 32,93 %. In termini percentuali dunque D’Amato è andato addirittura meglio dell’ex segretario nazionale PD, pur avendo ottenuto 437.000 voti in meno.
La candidata M5S, la giornalista Donatella Bianchi, ha ottenuto 186.600 voti, pari a circa il 10,7 %. Nel 2018 Roberta Lombardi ne ottenne oltre 835 mila, raggiungendo il 26,9 %. Dunque 16 punti percentuale in meno, che in numeri veri sono 650 mila voti perduti.
Le liste. Nel 2018 il primo partito nel Lazio era stato il Movimento di Grillo, che aveva ottenuto quasi 560 mila voti, pari ad oltre il 22 %. Stavolta ne ha preso 132 mila, l’8,5 %. Al secondo posto s’era classificato il PD con 539 mila voti (21,25 %). Nel 2023 i piddini hanno ottenuto 226 mila voti in meno, che però in termini percentuali equivalgono soltanto a un addirittura “lusinghiero” – 1 %.
Forza Italia, nel 2018 terza forza elettorale, ha ottenuto 240 mila voti in meno, che però in percentuale diventano solo – 6,2 %.
La Lega partiva da 252.772 voti. Stavolta ne ha ottenuto 131.600, che in termini percentuali diventano un accettabilissimo – 1,44 %.
L’esordiente “Azione-Italia viva” che nel Lazio sosteneva il candidato del Centrosinistra D’Amato, ha raccolto poco più di 75.000 voti, circa il 4,8 %! Un risultato davvero poco incoraggiante.
Anche nel Lazio, numericamente parlando, c’è stato il solito unico vincitore: Fratelli d’Italia. Il partito della destra italiana ha ottenuto circa 520.000 voti, 300.000 in più rispetto a cinque anni fa. Voti che, in termini percentuali, si traducono però in uno stratosferico e trionfale + 25 %!!!

Ecco, questi sono i numeri. Evito di fare confronti con le recentissime politiche, perché non ritengo appropriato comparare consultazioni sostanzialmente diverse e di diverso impatto sull’opinione pubblica, anche se l’Ente Regione gestisce direttamente – ma forse i cittadini ogni tanto lo scordano – settori molto importanti e delicati. Sta di fatto che a settembre i votanti Lombardi furono il 70 % degli aventi diritto, i Laziali il 64,3 %; oggi, voglio ripeterlo, sono stati rispettivamente il 41,68 ed il 37,2 %!!! In pratica, tra la maggioranza dei cittadini e la politica, quale oggi è in Italia, una volta terminata l’onda leghista ed esauritisi l’idrogeno e l’elio delle “5 stelle”, lungi dall’esserci empatia, c’è un fossato lungo (tutto lo stivale e le isole) ma soprattutto sempre più largo e profondo. Un fossato adesso ben visibile persino nella più grande e più avanzata parte del Paese, che evidentemente ne ha le scatole piene di una politica stagnante nelle sue formule, ferma nelle sue proposte, con pochi spazi di manovra – nonostante le solite “sparate” sovraniste – e incapace di percorrere vie nuove dal punto di vista delle sempre promesse ma mai neppure tentate grandi riforme strutturali. Nello specifico, i tonfi leghista e grillino, cioè di quei partiti che, nell’ultimo decennio, avevano, a turno e da posizioni diverse, indossato i panni di Masaniello, per poi rimettersi il vecchio “doppiopetto” una volta (ri)entrati nei palazzi, certificano ufficialmente la fine dell’illusione catartico-rigeneratrice delle loro proposte propagandistiche (e in attesa del prossimo fanfarron). E la stessa, vistosissima e vittoriosa, ascesa di FdI può essere letta semplicemente nel quadro di un rimescolamento del consenso fidelizzatosi nel Centrodestra, il cui trend, almeno dal punto di vista dei numeri, è anch’esso complessivamente negativo. Tuttavia ad oggi ‘Fratelli d’Italia’ appare uno dei pochi soggetti politici nazionali ad avere un futuro: quello di rappresentare la destra del Paese, quella nazionalista e patrio-tradizionalista, vedremo se pure conservatrice nel senso di lasciare sostanzialmente le cose come stanno secondo la redditizia logica democristiana del “fin che la barca va …”.