Ieri sera, nella sala della storica sede oristanese del PCI di via Canepa, oggi di proprietà della Fondazione Berlinguer, è stata presentata la candidatura di Piero Comandini, uno dei due contendenti – l’altro è Giuseppe Meloni – per la carica di segretario regionale del Partito Democratico. All’incontro era presente almeno una cinquantina di persone, quasi tutti volti noti della politica demo-progressista locale, come l’ex parlamentare Caterina Pes, gli ex consiglieri regionali Antonio Biancu ed Antonio Solinas, l’ex sindaco di Oristano Guido Tendas, Peppino Marras, Efisio Sanna, Gianni Sanna, l’appena riconfermato presidente di Legacoop Sardegna Claudio Atzori, Anito Marchi ecc. Erano presenti anche la segretaria provinciale Maria Obinu ed il segretario cittadino Roberto Martani, freschi di elezione, nonché alcuni consiglieri comunali. Onestamente non ho notato nessun “infiltrato” o semplicemente “curioso”, nonostante le Primarie del 26 febbraio siano aperte (più o meno) a tutti. E, soprattutto, ad essere assenti erano i giovani, le “nuove leve” della politica, ennesimo indizio del disinteresse da parte di questi nei confronti di tutto ciò che è riconducibile all’ambito strettamente partitico. Del resto l’età media dei presenti superava abbondantemente “quota 50”.
Tuttavia devo riconoscere che non assistevo ad una riunione di partito così frequentata proprio da quando lasciai il PD, nell’ormai lontano 2011. Evidentemente esiste ancora un solido zoccolo duro di militanza. Solido certo, ma sempre meno largo. Cercarne le cause non è faccenda che si possa risolvere né in due righe né in duecento! In generale si parla di crisi del rapporto politica partitica-società fin dalla fine dell’illusione generata da Mani Pulite e dal riformismo Anni 90. Certamente quest’ultimo drammatico decennio ha ampiamente accentuato questo distacco, trasformandolo in vera e propria frattura. Della quale forse uno dei motivi principali sta proprio nei contenuti che la politica politicante propone. Infatti, ieri sera, ascoltando i vari intervenuti (Comandini, Atzori, Efisio Sanna, Simone Spahiu, Guido Tendas, Anito Marchi, Maria Obinu, Ciro Oliviero), ho avuto inequivocabile un senso di déjà-vu/senti: parole-chiave, temi, concetti dei tempi in cui il PD stava nascendo, quindici anni fa: gli evergreen lavoro, sanità-salute, istruzione-formazione, sviluppo (sostenibile, mi raccomando!); la mitica “contendibilità” degli incarichi e delle candidature e la valorizzazione del merito e della militanza a scapito della fedeltà al capo-bastone ed alla sua corrente (Guido Tendas); la necessità dell’inversione della catena decisionale – oggi in capo esclusivamente ai vertici – a favore della base; il recupero di una dimensione “operaia” del PD rispetto a quella “salottiera” di un partito, a cui piace governare e gestire potere, e che però così si occupa solo di nomine e carriere (Efisio Sanna); ovviamente i “gggiovani”, appunto gli assenti di ieri; ovviamente l’insostituibile Europa, vera e propria “My Way” del cosmopolitico modernismo progressista.
Questo stallo contenutistico sta assieme ad una classe dirigente in quindici anni inevitabilmente invecchiata, ma, se non altro per istinto di sopravvivenza, poco incline ad intraprendere percorsi nuovi, ad assumere su di sé il rischio e la sfida di nuove battaglie, andando contro la sua stessa tradizione ideologica. Questo è proprio il caso della contradditoria richiesta di una Costituente sarda per dare al PD regionale lo status di partito federato a quello italiano. Infatti, come si può proporre, convintamente proporre una federazione partitica e, insieme, rimanere muti, sordi e ciechi di fronte agli ormai – sono trascorsi 75 anni dal 1948!!! – evidentissimi limiti della “specialità” [sic!] sarda, di un’autonomia modesta e inefficace qual è quella in capo alla RAS!? Cosa significa dire solo “NO”, “NO” e ancora “NO” all’autonomia differenziata!? Significa voler lasciare – tragicamente – le cose come stanno!? Significa avvallare, magari interessatamente, la stessa inefficienza della RAS!?
Entrando nella sala, sulla destra, accanto alla porta, ho notato, con una certa, almeno iniziale sorpresa, una foto-ritratto del glorioso Capitano, di Emilio Lussu. Quasi certamente chi l’ha messa lì, ha voluto ricordare il Lussu “socialista” non certo quello sardista! Tuttavia, magari con una seduta spiritica, i nostri democratici potrebbero chiedergli … ecco per esempio come mai la Sardegna, nel propizio secondo dopoguerra, non è riuscita a ottenere neppure un’autonomia degna di questo nome, né lo stesso Statuto che ha avuto la Sicilia. Le risposte dell’illustre Armungese probabilmente non gli piaceranno, ma sarebbero un modo per mettersi in discussione facendo i conti con la propria storia, inguaribilmente centralista e dirigista.