Oggi potrebbe essere un “gran giorno” per il PD: infatti, mentre scrivo, si stanno tenendo le ormai famose primarie aperte, ossia quelle elezioni interne a cui possono partecipare anche veri o presunti simpatizzanti. Per il voto sono richiesti solo un documento, la tessera elettorale e due euro.
Già nella tarda serata si dovrebbe conoscere il nome del novello Mosè, che tenterà insieme di condurre il decimato, incanutito e demoralizzato popolo democratico fuori dal deserto ideale in cui – per colpa di un navigatore non aggiornato – è finito, e di non lasciare al “nemico” troppo terreno nelle ubertose pianure del potere.
L’obiettivo che i dirigenti democratici si sono dati è quello di superare il milione di votanti, così da dare una certa forza e credibilità a questo nuovo esodo verso la terra promessa.
Negli ultimi mesi, dopo le Politiche di settembre, s’è anche assistito ad una rinnovata dialettica interna alla sinistra, nello sforzo di recuperare almeno qualcuno di coloro che in questi tormentati anni di ripetuti flop elettorali – ab urbe condita sono “scomparsi” senza poter (o forse voler) essere ritrovati più di sei milioni e mezzo di voti ed oltre mezzo milione di tesserati – nel 2007-08 avevano sostenuto il progetto democratico. Una diaspora clamorosa nonostante il fatto che il transatlantico kenneditaliano quasi sempre abbia trovato un ottimo molo nel porto del potere. In particolare si è riaperto un confronto con alcuni vecchi leader post-comunisti, come D’Alema o Bersani, che, dopo aver tentato invano di riproporre formazioni politiche nostalgicamente ispirate al PCI post-berlingueriano, si sono messi a pettinar bambole (ovviamente da collezione).
Anche in Sardegna le sinistre hanno cercato e stanno cercando una qualche soluzione futuribile, al di là del non facile rapporto con i pentastellati. Così per esempio alle Comunali di Oristano del giugno scorso, nell’alleanza di Centrosinistra che sosteneva Efisio Sanna, era presente una lista, ‘Sinistra futura per Oristano‘, che raccoglieva sia candidati riconducibili al PD sia candidati espressione di quelle aree che il PD avevano lasciato o a cui non avevano mai aderito, rimanendo fedeli ad un’idea più ortodossa di sinistra. E infatti la lista, pur avendo ottenuto un seggio agli Scolopi grazie ad un non disprezzabile 4,3% di voti, poi non ha dato vita al proprio gruppo consiliare, che, se non altro per quanto riguarda autonomia e visibilità politica, avrebbe potuto essere utile. Ma, evidentemente, i tempi non erano ancora maturi.
E’ di questi ultimi giorni la notizia della creazione di una nuova associazione di cultura politica di area progressista sarda, il cui nome è ancora quello di ‘Sinistra futura‘. D’altronde uno dei suoi “padri” è Bruno Palmas, noto cardiologo oristanese, ex segretario provinciale dei DS, al cui lavoro politico si deve l’omonima lista di cui sopra. L’associazione, come ci ha dichiarato lo stesso Palmas, “unisce quei militanti di ‘Articolo uno’ che non hanno condiviso il ritorno nel PD e i compagni sardi di Sinistra italiana“. L’obiettivo, secondo Palmas, è “quello di mettere al servizio della Sardegna, dei suoi interessi, dei suoi bisogni, delle sue esigenze, un progetto politico di sinistra includente, innovativo e aperto alla società ed a tutte le sue espressioni organizzate sensibili a quei fondamentali ideali e diritti sanciti nella prima parte della nostra Costituzione“. Tale virata sardocentrica, il cui rilievo, respiro e gittata chiaramente devono ancora essere verificati, sembra però trovare grafica espressione nel simbolo stesso della nuova creatura politica, il cui soggetto principale è proprio uno stilizzato albero eradicato, vera e propria icona del nostro glorioso Giudicato, il cui tronco però è diventato rosso ed ha forma di mano, strumento indispensabile del lavoro ed, insieme, rappresentazione dell’accoglienza e della condivisione. Sopra l’albero è stato inserito un doveroso richiamo alla tradizione politica novecentesca del comunismo statuale: una piccola stella, anch’essa rossa.
Multa non quia difficilia sunt non audemus, sed quia non audemus sunt difficilia, diceva Seneca. Che per la sinistra sarda sia giunta l’ora di “osare”?