PRESENTATE AD ORISTANO LE MEMORIE DI PAOLO PILI [ADRIANO SITZIA]

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In questi ultimi decenni, attraverso le certosine ricerche di alcuni storici, meno legati ai cliché ideologico-storiografici postbellici, qualche riflettore s’è nuovamente acceso su importanti personalità della politica o della cultura sarde, finite nell’oblio dopo essere state marchiate a fuoco dal rovente stampo di certa epurazione culturale, a volte solo superficiale altre alquanto “interessata”. Una di queste personalità è senz’altro Paolo Pili, le cui memorie sono state presentate venerdì scorso all’UNLA di Oristano. A curarne l’edizione, intitolata ‘Paolo Pili. Memorie di un sardofascista‘ è stato Mario Cubeddu, seneghese come Pili, al quale ha dedicato buona parte parte del suo lavoro di studioso di storia sarda e locale. Il suo lungo e dettagliato saggio biografico ad integrazione e completamento del testo piliano, del resto, costituisce una summa di queste sue ricerche, che ebbero un primo sbocco pubblico nella sua relazione su ‘La classe dirigente a Seneghe: dal Liberalismo al Fascismo‘ , presentata al Convegno dedicato al ‘Sardo-fascismo fra politica, cultura, economia‘ (Cagliari, 1993), e che recentemente – 2015 – ci hanno consegnato anche l’importante monografia ‘Lontano dall’Italia. Storie di nazionalizzazione della Sardegna‘.

A presentare questa ultima fatica di Cubeddu ed a parlare di ciò che è stato e ha fatto Paolo Pili per la Sardegna, in particolare – ma non solo – durante il primo fascismo (anni 1923 – 1927), sono intervenuti, insieme all’autore: l’ex sindaco di Oristano, Guido Tendas, che ha moderato l’incontro; Salvatore Cubeddu, uno dei più importanti studiosi del sardismo ed ex sindaco di Seneghe; il professor Giorgio Pellegrini, già docente di Storia dell’arte moderna e contemporanea alla Facoltà di Lettere di Cagliari, e poi di Storia dell’arte e dell’architettura contemporanea in quella di Ingegneria; e Maria Antonietta Motzo, docente di storia dell’arte al Liceo artistico di Oristano.

Introducendo l’evento Tendas ha subito sottolineato ciò che, secondo lui, era Pili: un uomo cresciuto in campagna, e legato alla stessa, ancor più dopo aver proficuamente frequentato la Scuola di viticoltura ed enologia di Cagliari, allora diretta da Sante Cettolini, maestro e costante punto di riferimento per Pili. “Soprattutto un uomo – ha detto Tendas – chi scidiada murigai sa terra”; un uomo pratico che non aveva paura di esporsi; un uomo che delle campagne giunse a conoscere bene tutto, ad iniziare dalle fatiche poco remunerate di chi ci lavorava – contadini ed allevatori – il sudore, le difficoltà, e lo strangolamento dei produttori sardi da parte dei monopolisti continentali, che, per Pili, fu un vero e proprio chiodo fisso, e contro cui si battè “senza guardare in faccia nessuno” finché non fu defenestrato per questo motivo. A tal riguardo Tendas ha ricordato le molte ed importanti iniziative di Pili a favore dell’economia agricola sarda, per quanto riguarda le cooperative di produttori, l’accesso diretto ai mercati, la ricerca di nuovi sbocchi commerciali, il credito agrario e la modernizzazione dei mezzi e dei sistemi produttivi, il progetto di porto franco a Cagliari e in generale le tante iniziative da lui portate avanti, in primis la cosiddetta “legge del miliardo” e il Provveditorato regionale alle opere pubbliche. “Siamo di fronte – ha proseguito Tendas – ad un grande politico, ad un grande concittadino nostro, a cui – e di ciò faccio pubblica ammenda, davanti alle nipoti qui presenti – negli anni in cui sono stato amministratore, come sindaco e come assessore alla cultura, non ho dedicato quell’attenzione e quello studio che avrebbe meritato, al di là della piazzetta dedicatagli vicino all’Hospitalis”.

Infine, prima di passare il testimone a Salvatore Cubeddu, l’ex inquilino degli Scolopi ha voluto sottolineare un aspetto effettivamente curioso: “esattamente un secolo fa, a Oristano, a pochi passi da qui, uomini come Pili, Lussu, Putzolu si confrontavano e riflettevano su scelte cruciali per il destino del loro partito e della stessa Sardegna, quale in effetti era la proposta di fusione tra sardisti e fascisti, ragionavano sui vantaggi, sui rischi, ecc.”. A questo proposito mi permetto una digressione: se oggi, adesso, immoi, anche noi aprissimo gli occhi sulla situazione attuale estremamente difficile di una terra, il cui futuro appare così come allora, in assenza di riforme sostanziali, grigissimo, e recuperassimo da quei protagonisti la volontà di fare e di fare qualcosa di concreto per la Sardegna, con il lor stesso orgoglio di essere Sardi, invece di trastullarci, anno dopo anno, con insularità, autonomie più o meno differenziate, partiti federati, zone franche e (dis)continuità territoriali tenendo su bonette sempri furriau in direzione di Roma, beh, allora qualcosa forse potrebbe finalmente cambiare! E qui mi fermo!

Chiamato in causa da Tendas, Salvatore Cubeddu ha sottolineato alcuni aspetti determinanti per comprendere gli avvenimenti successivi. Innanzitutto Cubeddu ha rimarcato l’importanza che ebbe la Prima guerra mondiale per i giovani sardi in generale ed in particolare per quegli intellettuali formatisi nel nuovo secolo, in cui già era forte lo spirito di ribellione verso le vecchie, inconcludenti e corrotte classi dirigenti locali e contro gli affamatori italiani e la loro piratesca gestione degli affari nell’isola. Tutti questi uomini, che prima vivevano ciascuno nella propria piccola realtà quotidiana, si ritrovarono insieme nella ‘Brigata Sassari’, costituita poco prima della dichiarazione di guerra all’Austria – ma andrebbero ricordati anche i molti Sardi della brigata ‘Reggio’ – si conobbero, condivisero la tragedia della guerra, che ne forgiò carattere e senso di appartenenza, e, quando tornarono a casa, lo fecero con una coscienza molto diversa. A ciò si aggiunsero le promesse fatte dalle autorità per cui la Sardegna, come premio del grande sacrificio (stando al cosiddetto ‘Albo d’oro’ solo i caduti furono 13.602, ma secondo le ricerche più recenti di Guido Rombi il numero supererebbe ampiamente i 15.000, su poco meno di 100.000 sardi combattenti) e del coraggio dei suoi uomini (oltre 500 medaglie al valor militare concesse, di cui 10 d’oro), sarebbe stata adeguatamente “risarcita” dopo la vittoria. Da ciò la rapidità e la relativa compattezza – almeno fino alla Marcia su Roma – degli ex-combattenti sardi e del loro partito, il PS d’Az., il partito della terra e di chi la lavorava, e la specificità del suo programma politico, che aveva come nucleo l’autonomismo.

E a proposito della ricostruzione degli avvenimenti degli anni fatali 1921 – 1923, che portarono al Sardo-fascismo, Cubeddu ha insistito sul concetto che le decisioni prese dalla classe dirigente sardista del tempo non possono essere giudicate con il senno del poi, ma tutto deve essere riportato al contesto ed alla realtà di quel tempo. “Intanto – ha proseguito Cubeddu – la Sardegna allora era ancora più lontana dall’Italia, per cui chi stava qui non poteva avere l’esatta percezione di quanto stava accadendo soprattutto al Nord; nè si può tralasciare la comune origine combattentistica del fascismo e del sardismo”.

Cubeddu ha altresì ricordato che il PS d’Az era antifascista sicuramente fino alla Marcia su Roma, tanto che, oltre ad opporsi efficamente con propri gruppi organizzati alle squadracce fasciste sarde, aveva risposto positivamente al telegramma che il generale Gastone Rossi, allora massima autorità militare in Sardegna, il giorno 27 ottobre inviò ai sardisti in quel momento riuniti in congresso a Nuoro, chiedendo la disponibilità ad unirsi all’esercito in caso di proclamazione dello stato d’assedio. Poi le cose si capovolsero: il re non soltanto non firma il decreto Facta ma anzi dà a Mussolini l’incarico di formare il governo.
Per quanto riguarda il “come” ed i “perché” si giunse alle trattative e poi alla fusione, lo storico seneghese ha nuovamente premesso che è fondamentale pensare e ragionare come pensarono e ragionarono gli uomini che le fecero e non “col senno di/del poi”. “Intanto le cose erano radicalmente mutate e l’avversario politico era diventato presidente del consiglio”, con le ovvie ripercussioni soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico. E infatti il perido immediatamente successivo alla Marcia (novembre e dicembre 1922) fu caratterizzato intensificazione fascista delle azioni violente con diversi assassinii (Efisio Melis a Cagliari, i fratelli Salvatore e Luigi Fois a Portoscuso), aggressioni e ferimenti (lo stesso Lussu a Cagliari). Inoltre diversi esponenti sardisti, tra cui Paolo Orano, insieme a parte della “vecchia guardia” liberale, erano subito transitati nel PNF, mentre gli inviati di Mussolini, prima Lissia e poi il nuovo prefetto di Cagliari, generale Gandolfo, ben noto a molti ex combattenti sardi, iniziarono a portare avanti un abile lavorio diplomatico, un “corteggiamento” fondato sulla concreta prospettiva di far sì che il fascismo sardo fosse rappresentato e guidato proprio dai sardisti.
Quanto alle responsabilità della scelta, Cubeddu ha voluto ancora una volta sottolineare che le testimonianze sono chiare: fu Lussu a decidere per la trattativa e per la fusione, tra l’altro contro il parere di Bellieni e, almeno inizialmente, dello stesso Pili e di Putzolu e i dubbi di parte della classe dirigente. E fu ancora Lussu a convincere Pili ad accollarsi l’onere del transito nel fascismo e delle conseguenti responsabilità politiche (Pili divenne segretario federale di Cagliari e deputato del PNF), mentre il partito, almeno formalmente, veniva tenuto fuori in attesa degli eventi. Poi, nel 1924, Lussu cambiò idea, sicuramente influenzato dal gruppo sardista-salveminiano che stava in continente (Bellieni, Fancello ecc.) guidando la lista del PS d’Az alle elezioni politiche del 1924, che ottenne, nonostante il clima poco favorevole, un importante riscontro elettorale (soprattutto nelle città).

Giorgio Pellegrini, dopo aver accennato all’impatto culturale che ebbe su tanti spiriti dell’epoca la tecnologia, che veniva accostata alla modernità ed al paese moderno per eccellenza, gli USA. E non a caso Pellegrini, che ha definito Paolo Pili “un visionario”, ha voluto ricordare il suo viaggio proprio negli Stati Uniti, così come negli stessi anni andavano facendo intellettuali ed artisti “visionari” italiani ed europei, come il pittore futurista Fortunato De Pero.
Ma è un evento ben preciso quello che Pellegrini ha voluto ricordare a proposito del rapporto di Pili con la modernità: la Crociera di Francesco De Pinedo verso le Americhe. De Pinedo, il secondo pilota Carlo Del Prete e il motorista, Vitale Zacchetti, giunsero a Cagliari da Sesto Calende l’8 febbraio, rimandendovi fino al 13 per mettere a punto l’idrovolante Savoia Marchetti S. 55 “Santa Maria”. In quei giorni Cagliari era al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica nazionale tanto che, alla vigilia della partenza, arriva a Cagliari anche Italo Balbo, all’epoca sottosegretario per l’Aeronautica, accompagnato da alti ufficiali, giornalisti e gli addetti militari britannico e americano. E proprio Paolo Pili, che della modernizzazione della Sardegna aveva appunto fatto una delle sue parole d’ordine, donò a De Pinedo un gagliardetto con i Quattro Mori e la scritta “Cagliari” su fondo rossoblu, che fu appeso all’idrovolante.
Il 13 febbraio il “Santa Maria” decollò alla volta di Buenos Aires, dove, dopo una serie di tappe intermedie, giunse il 2 marzo. “Quella notte Cagliari festeggia l’evento con una Veglia Azzurra, organizzata e animata da Tarquinio Sini, noto vignettista e grafico sassarese, che morirà nel primo bombardamento di Cagliari”.

Maria Antonietta Motzo invece ha trattato l’impegno di Paolo Pili nel campo dell’istruzione e della cultura, ed in particolare quella che è stata, in questo ambito, una delle sue più importanti creature: la Scuola d’arte applicata di Oristano, in Piazza Manno e affidata, per decisione dello stesso Pili, alla direzione di Francesco Ciusa. La scuola aprì le sue aule ed i suoi laboratori agli studenti nel 1925, guadagnando subito importanza e notorietà. Ma la sua parabola iniziale seguì quella del suo principale fautore: infatti nel 1930 fu chiusa, almeno formalmente, sulla base del riordino delle scuole tecniche (Belluzzo-Balbino). Solo un paio di decenni dopo Oristano potè riavere una scuola per ceramisti.

Last but not least il curatore dell’opera, Mario Cubeddu, si è soffermato in modo particolare sulle travagliate vicende di Pili dopo il 25 luglio 1943: la sua breve carcerazione, il confino, e la sua “difesa” dalle accuse mossegli ufficialmente e a mezzo stampa dall’Unione Sarda e dallo stesso ‘Solco’, il giornale sardista; difesa che si tradusse nel suo importante volume ‘Grande cronaca, minima storia‘ (1946).

Infine mi permetto di condividere l’auspicio espresso in questa occasione da Tendas, e cioè che Oristano possa ospitare un Convegno di studi su Paolo Pili.