“Anni come giorni son volati via“, cantava Raf nella sua famosa ‘Cosa resterà degli anni 80’.
Eravamo, se non ricordo male, proprio in quel fatidico 1989, che tra muri caduti e grandi piazze insanguinate, segnò una svolta epocale al tramonto del XX secolo. Anno forse cruciale anche per il destino del Partito Sardo d’Azione: infatti nel giugno 1989 si concluse la IX legislatura regionale e con questa l’avventura politica della Giunta “rossomora” guidata dal leader sardista Mario Melis, per alcuni – soprattutto sardisti – un vero e proprio mito, per altri icona di una grande occasione per la Sardegna, rimasta però tale.
E anche della nobile figura del politico ogliastrino, deceduto esattamente vent’anni fa, e dell’impetuoso vento sardista che lo portò alla guida della R.A.S. proprio negli Anni 80 cantati da Raf, s’è parlato ieri pomeriggio a Tramatza in un incontro tutto sardista per celebrare laicamente ‘Sa Die de sa Sardigna’.
Nelle intenzioni dei promotori, due sardisti storici come Teresa Vacca e Roberto Tola, si sarebbe dovuto trattare di un momento per tentare di riannodare il filo di un discorso sardista spezzatosi e che proprio il PS d’Az. sembra poco interessato a riallacciare. E quest’ultimo aspetto è stato al centro della maggior parte degli interventi, in cui amarcord, orgoglio per l’appartenenza e delusione, amarezza, cruccio e anche dolore di fronte a questo incolore, spento e subordinato presente del partito si sono spesso intrecciati e sovrapposti in un baluginante gioco di flashback e immagini d’attualità. Così, per continuare sulla falsariga della canzone, si è repentinamente passati dagli “anni rampanti dei miti sorridenti” a quelli “allegri e depressi di follia e lucidità” con l’incubo che “forse domani a quest’ora non sarò esistito mai“. Già, perché chi ha tentato di aprire la finestra e scrutare l’orizzonte (tra coloro che ho ascoltato soprattutto Paolo Carta, Teresa Vacca, Renato Orrù, e, in alcuni passaggi, Lidia Fancello Chicco Frongia e Vincenzo Urru) non ha potuto fare a meno di rimarcare con preoccupazione la prospettiva di un “domani” sardista alquanto incerto.
“E immoi ita fadeus!?“, ci si è chiesti. Non sono mancate proposte, che certamente meritano un approfondimento, perché nella vita e ancor più in quella politica non esistono formule esatte, immediatamente applicabili e dal risultato garantito. D’altro canto non credo che si possa sorvolare su alcuni aspetti che caratterizzano l’odierno fare politica: l’assenza di veri partiti, sostituiti da comitati elettorali; la mancanza persino dei luoghi fisici dove (iniziare a) fare politica; la mancanza di “scuole” politiche; la distante lontananza dei giovani, a parte coloro che hanno voluto prendere alla lettera la famosa frase di Croce, per il quale “i giovani hanno un solo dovere: invecchiare al più presto“; l’alto tasso di conflittualità pratica tra le varie fazioni e frazioni politiche; e, come ha ricordato la stessa Teresa Vacca, la vaghezza e l’inconsistenza di molta politica, come tale incomprensibile proprio ai giovani, che invece cercano chiarezza e concretezza.
Allora, forse, sarebbe necessario ripartire da zero, non accettando più le vecchie regole del gioco della politica politicante, divenuta quasi a tutte le longitudini e latitudini, mera gestione di potere. Infatti, come una corsa la rendono facile o difficile prima di tutto i corridori e non il percorso, così la politica in sé non è né “buona” né “cattiva”: sono “buoni” o “cattivi” i suoi attori.
Per parlare dell’attuale PS d’Az. – molto partito ma molto poca action – ci saranno, forse, altre occasioni.