ENNESIMO CONVEGNO SULLA SANITA’ ORISTANESE: SARA’ SEMPRE PIANTO E STRIDORE DI DENTI?

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Ieri sera, nell’aula consiliare degli Evangelisti, un nuovo incontro pubblico per parlare ancora una volta della sanità oristanese e dei suoi gravissimi problemi. Ma gli organizzatori vi hanno voluto affiancare anche uno spazio dedicato alla calderoliana autonomia differenziata, che sembra essere diventata il vero e per adesso unico cavallo di battaglia del nascente campo largo progressista. Non a caso uno dei relatori era il prof. Andrea Pubusa, già docente universitario ed appassionato difensore della Carta costituzionale del 1948.
Ho ascoltato, oltre alla presentazione introduttiva di Tore Meli, storico esponente della sinistra oristanese, solo le quattro relazioni programmate: dei due medici Francesco Nieddu (Comitato Difesa Sanità Marghine) e Giampiero Sulis (radiologo al ‘San Martino’ e sindacalista); dell’avvocato Rosaria Manconi e, come detto, del professore Pubusa.
Nieddu ha focalizzato il suo intervento sulla riforma sanitaria regionale ed, in particolare, su ruolo e funzione del nuovo distretto sanitario. Giampiero Sulis invece, con una serie di efficaci istantanee sulla situazione – disastrosa! – dei tre presidi ospedalieri in provincia, o, sarebbe più esatto dire, di ciò che ne è rimasto, ha sottolineato gli enormi vuoti di medici e paramedici, le conseguenti difficili condizioni di lavoro (turni massacranti, impossibilità di fare ferie, mancata nomina dei primari ecc.), le gravi carenze strutturali, la disorganizzazione complessiva della macchina, la difficile integrazione dei “gettonisti“, le liste di prenotazione chiuse da tempo immemorabile ecc.
L’avvocato Manconi da parte sua ha proposto alcune riflessioni, prendendo lo spunto dalla sempre più evidente “discrasia” tra il dettato delle norme – su tutte l’art. 32 della costituzione – e la realtà di tutti i giorni, e sulla derivata disuguaglianza nella possibilità di accesso alle prestazioni sanitarie, per cui le condizioni economiche quanto la stessa residenza incidono fortemente sulla attuale possibilità non solo di curarsi “bene” ma addirittura di curarsi.
Infine il professore Pubusa ha preso l’abbrivo proprio dalla definizione che il citato articolo 32 da della tutela della salute – un “fondamentale diritto della persona umana in quanto tale, e interesse della collettività, dunque non commerciabile né monetizzabile” – per rimarcarne il suo carattere assoluto, non “sottomissibile” ad alcun tipo di scala gerarchica o di graduatoria differenziante.
Pubusa ha voluto ribadire ciò che è una caratteristica della Costituzione, quella di creare uguaglianza. Ed “è proprio a questa che si ispirò il legislatore, quando, nel 1978, ministro Anselmi, istituì il Servizio sanitario nazionale“, puntando a rendere l’accesso alle prestazioni sanitarie il più ampio e facile per tutti. “Invece la riforma Calderoli va in direzione diametralmente opposta e, pertanto, è palesemente anticostituzionale, negandone appunto uno dei cardini, cioè l’uguaglianza“. A tal proposito, Pubusa ha voluto informare la platea del raggiungimento della soglia di 50.000 sottoscrizioni alla proposta di legge contro l’autonomia differenziata.
Fin qui la cronaca. Senza addentrarmi sulle cause della difficilissima situazione in cui versa la sanità oristanese, in primis, ma anche gran parte della sanità sarda, che tra l’altro mi costringerebbe ad allargare lo sguardo a tutti gli altri gravi ritardi che, da tempo, penalizzano la nostra isola, ai quali evidentemente si pensa di porre rimedio all’italiana, cioè con una bella etichetta in c’è scritto “insularità in costituzione”, voglio solo proporre una serie di quesiti:
– come si articola oggi, dopo 75 anni di democrazia, il rapporto istituzioni – cittadino, e quello tra lo Stato e la società cosiddetta civile? Non sono ancora troppo simili a quelli dell’Italia grande potenza coloniale e imperiale dei nostri avi?
– qual è attualmente il peso dell’opinione del cittadino-utente/paziente/familiare del paziente, ma anche quello del cittadino-medico/paramedico?
– quale è la possibilità effettiva di incidere in qualche modo sulle politiche sanitarie da parte dei sunnominati cittadini?
Accanto a queste domande, ne sorge un’altra: al di là dell’ovvia e doverosa protesta, cosa stanno facendo le singole comunità per trovare soluzioni concrete a tale crisi sistemica?
Oggi, alla buonora, un amico mi ha inviato un’intervista alla scrittrice Michela Murgia, che ha rivelato la sua purtroppo molto grave situazione di salute. La mia attenzione è caduta su un paio di temi toccati dalla Murgia, molto importanti proprio nell’ottica di un cambiamento epocale di prospettiva, l’unico che può consentirci di superare l’impasse in cui ci troviamo:
– il prendersi cura reciprocamente gli uni degli altri;
– l’importanza delle relazioni umane, al di là dei ruoli.
Ecco, andiamo oltre lo spesso sterile dibattito sui principi e sulla loro applicazione pratica, e, nel contempo, oltre il retorico canovaccio dello scambio di accuse tipico della politica politicante, e cerchiamo di riportare al centro di tutto i rapporti umani, di dare un nuovo significato all’humanitas.