L’argomento di questo articolo forse non è molto attrattivo, non fa guadagnare molti “like”. Infatti oggi parliamo di un oggetto decisamente démodé o, per gli anglofili, dowdy: un libro! Più esattamente si tratta di un’opera sulla storia del Partito Sardo d’Azione e del sardismo. Lo so, ho capito: argomento vecchio e noiosissimo! Tuttavia, cara lettrice e caro lettore, prima di interrompere repentinamente la tua lettura, resisti almeno per qualche riga. Perché te lo consiglio? Perché il motivo principale che mi ha spinto prima a leggere questo saggio e poi a parlarne pubblicamente sta in ciò che m’è apparsa essere una sua rilevante peculiarità: infatti non ricordo di essermi mai trovato di fronte una ricostruzione del percorso ideologico e storico di un partito politico, messa nero su bianco da colui che attualmente ne è il segretario politico nazionale oltre che leader – apparentemente/ancora – indiscusso (o quasi).
Altro aspetto interessante di questo libro è il livello, la qualità del lavoro: infatti non si tratta, come ci si sarebbe potuti “tranquillamente” attendere, del solito libello propagandistico, o dell’altrettanto canonica intervista-verità dove il politico di turno scopre l’acqua calda o rispolvera ricordi e aneddoti che aggiungono poco o niente alla sua e nostra storia. ‘Fenomenologia del sardismo. Cento anni di ideologia e prassi politiche‘, di Christian Solinas – sì proprio lui, il nostro Christian Solinas “croce e delizia al cor” dei Sardi e dei Sardisti – non è niente di tutto ciò! E’ un saggio storico vero, un lavoro dotto, che poggia su un cospicuo apparato documentale e storiografico, puntualmente esplicitato nelle accurate note e nella bibliografia conclusiva. Del resto a certificarne la qualità è il nome stesso dell’editore: la rinomata Giappichelli, storica casa editrice torinese nota in particolare – ma non solo! – per i suoi testi giuridici.
Attenzione però, ve lo anticipo: è un saggio dotto ma, insieme, polemico. Cioè, in ciò, “politico”.
Ma entriamo in medias res.
Solinas con ‘Fenomelogia del Sardismo‘ dichiara, fin dall’inizio, di voler colmare quella che considera una grave lacuna nella storiografia sardista: infatti “di questo lungo percorso [sardista] – scrive il Presidente – hanno scritto in tanti, per lo più con due tare evidenti. Da un lato, si è fatta una cronaca – peraltro, spesso, lacunosa per non dire selettiva – dei principali eventi, dei congressi e delle personalità che popolano l’immaginifico pantheon laico del sardismo. Dall’altro, si è consolidato il tentativo costante di una nutrita schiera di militanti ed intellettuali d’area, principalmente socialisti e progressisti, di ricostruire – non senza forzature e manipolazioni – la complessità ellittica del Sardismo su un’asserita linea rossa di continuità univoca, giusta la quale non vi sarebbe cittadinanza agibile e coerente per il Ps d’az se non all’interno dell’unica grande e nobilitante storia della sinistra” (p. 1). Su tale base uno dei principali obiettivi – anzi forse il più importante – che l’autore si è prefisso di raggiungere è ben espresso nelle righe conclusive, allorché, parlando della “rottura del tabù” sardista del centro-destra, scrive: ” … lo sdoganamento della collocazione a destra, al di là di ogni altra considerazione ideologica, ha restituito al Ps d’az la consapevolezza intorno alla propria secolare tradizione politico-culturale, e ha contribuito a fare chiarezza intorno alla propria storia. Rivalutare protagonisti negletti, ridotti a comprimari rispetto a Lussu, e rileggere senza complessi di inferiorità aspetti della storia sardista che la storiografia dominante di matrice progressista ha sistematicamente classificato nel limbo dell’eresia, ha permesso finalmente lo sviluppo di un processo, ancora in corso, di identificazione”.
In quest’ottica il libro di Solinas, dalle prime pagine, è ricco di riferimenti e spunti polemici nei confronti di una certa storiografia, per così dire, ideologicamente orientata. Così (p. 38), trattando del Sardofascismo, si legge: “ … la storiografia sul Sardofascismosconta una generalizzata uniformità e omogeneità del giudizio nel corso dei decenni. La produzione progressista, maggioritaria sul piano quantitativo, non ha … assolto in termini adeguati al compito storiografico, … Partendo dal postulato politico (…) dell’antifascismo come valore in sé, la storiografia dominante ha prodotto un coacervo di luoghi comuni, ripulse pregiudiziali, apologie agiografiche, censure immotivate, e infine ma non da ultimo, ha rinunciato a considerare fonti ben note per non turbare il quadro agiografico d’insieme imperniato sul disperato tentativo di creare ex post una immagine plutarchea di Emilio Lussu in vista del suo definitivo arruolamento nella é lite politica ed intellettuale della sinistra. Nè va trascurata la circostanza relativa agli schemi imperanti da decenni presso il mondo accademico, nel quale determinati argomenti hanno costituito un oggettivo problema rispetto al perimetro del politically correct degli ambiti di ricerca”. Un j’accuse esplicito, come anche questi (pp. 47 – 48) sulla lettura storiografica predominante sia dell’azione politica di Paolo Pili sia della sua difesa, costituita dal libro ‘Grande cronaca minima storia‘ del 1946: “Tutto ruota sugli evidenti limiti di una storiografia incapace di scindere chiaramente il giudizio morale, la valutazione politica e l’analisi storica. … La pregiudiziale antifascista, che nell’analisi storica non dovrebbe affatto entrare, ha perciò impedito di considerare Pili come una fonte di primo piano, e correlativamente ha permesso di valutare Lussu come fonte attendibile anche quando è lo stesso Lussu ad avvertire che si tratta di propaganda antifascista e non certo di ricostruzione storiografica … contro la storiografia dominante, Pili ha avuto il torto di rimarcare cme ancora agli inizi del 1922 il fascismo non fosse oggetto di discussione per via della irrilevanza del movimento fascista in ambito italiano, e come non si riscontrassero gravi dissensi tra il sardismo e il fascismo … Ma il torto di Pili, agli occhi della storiografia militante, non è l’adesione temporanea al fascismo, considerato come moltissimi antifascisti che dopo il 1948 aderirono al PCI fossero stati convintamente fascisti, …, Il vero torto di Pili, nella forma di vulnus inaccettabile, è quello di aver documentato l’inequivocabile partecipazione da protagonista di Lussu alle trattative della fusione sia sul piano ideologico-politico che su quello organizzativo”. Insomma questa produzione storiografica per usi di parte avrebbe consapevolmente piegato la complessità di quegli eventi ad una strumentale visione politica con tanto di eroi e di “cattivi” per partito preso. E infatti più avanti (n. 53, p. 52) Solinas parla esplicitamente di “retorica politico-militante, basata su un antifascismo apodittico e in fondo elusivo”, che avrebbe nascosto ciò che rimase anche allora alla base della ratio di tutti i sardisti: la risoluzione della questione sarda. Ciò che differenziò i vari protagonisti sardisti in quel momento infatti fu la tattica da seguire.
A Lussu, alla lettura che è stata data del suo percorso politico-ideale ed alle conseguenze per ciò che riguarda il sardismo, Solinas rivolge molta attenzione. In particolare (p. 62) definisce Lussu “bandiera assorbente del sardismo”, cioè una sorta di cartina di tornasole da utilizzare per esaltare o minimizzare anche l’impegno e i risultati politici degli altri sardisti durante il ventennio fascista (ovviamente a tutto vantaggio dei fuorusciti ed esuli rispetto a coloro che, pur rimasti in Sardegna, riuscirono a tenere vivo il fuoco sardista). Ciò ha prodotto anche una progressiva marginalizzazione delle interessanti teorizzazioni federaliste dello stesso Lussu “derubricate … all’interno della categoria fuorviante e onnicomprensiva dell’autonomismo”. Non a caso un altro target storiografico individuato da Solinas è quello relativo all’equivoco autonomistico di alcuni importanti leader della sinistra sarda, che per esempio ha permesso ad intellettuali come Cardia, peraltro indirettamente supportati da diversi interventi di Mario Melis, l’individuazione di una sorta di “costante autonomistica” sarda impersonata da Angioy, Tuveri, Lussu, Gramsci e Renzo Laconi (sul quale v. in particolare pp. 84 e sgg. con n. 45 e n. 46), caratterizzata da un per così dire “gemellaggio” semantico tra “autonomismo” e “federalismo” (per esempio pp. 130 e sgg., e p. 146). Un equivoco questo che avrebbe inficiato la corretta interpretazione del senso stesso del sardismo, dei suoi fini, delle sue strategie e delle tattiche che, di volta in volta, sono state attuate nel tentativo di raggiungerli.
Ma esattamente cos’è il Ps d’az per Solinas? Tirando le somme, è un partito etnico o a base etnica, dunque non inseribile negli alberi genealogici delle tradizionali famiglie politico-ideologiche novecentesche né omologabile ad alcuno degli storici schieramenti politici. E, in quanto tale, appare essere un tentativo di risposta politica contemporaneo e (forse) ancora attuale a “problemi strutturali di lunga durata”, riassumibili molto bene con il titolo tuveriano di “Questione sarda”.
Il sardismo ovviamente non nacque ex abrupto nelle trincee carsiche della Grande guerra perché appunto non fu un fenomeno improvvisato, ma ebbe radici ideali e politiche profonde, che le giovani generazioni sarde formatesi nel Primo Novecento ebbero la possibilità di conoscere e studiare grazie al proficuo lavoro di riscoperta ed interpretazione condotto da studiosi accademici come Gioele Solari, Alessandro Levi e Benvenuto Donati, in particolare nel decennio 1913 – 1923. Non possono essere sottovalutate neppure le influenze sul primo sardismo del sindacalismo rivoluzionario e di Georges Sorel, né dell’opera e dell’impegno politico-culturale di Attilio Deffenu.
Certamente la guerra e le sue conseguenze a livello di coscienza individuale e collettiva furono importanti per molti ex combattenti, soprattutto tra coloro già culturalmente attrezzati, che, una volta rientrati nell’isola, si posero il problema di dare in prima persona una risposta insieme concreta ed urgente all’atavica questione sarda. Questa risposta, dal punto di vista istituzionale, venne rapidamente delineandosi nella soluzione federale.
Proprio in questo senso il Sardismo può essere indubbiamente considerato un fenomeno unico, originale, tenendo nel dovuto conto la quasi totale refrattarietà e ritrosia dei soggetti politici italiani ( e non soltanto italiani ) di destra come di sinistra – soprattutto questi ultimi – riguardo al federalismo, ma anche allo stesso regionalismo, che, pur inserito nella Costituzione repubblicana, venne il più possibile posticipato e svigorito.
Solinas poi ripercorre tutte le principali tappe del lungo percorso sardista.
Per quanto riguarda il sardofascismo e Paolo Pili, sulla scorta di alcuni storici che hanno riesaminato l’intera vicenda contestualizzandola, Solinas procede a quello che in politichese si direbbe “sdoganamento” soprattutto dell’azione del politico seneghese. Non solo: la sua attenzione si rivolge a tutto il vario e vivace dibattito, a tutto il fervore culturale che caratterizzò gli Anni Trenta in Sardegna, e che altresì gli consente di allargare gli stessi confini temporali del sardofascismo. Tra l’altro, secondo Solinas, proprio il fascismo “innesca involontariamente lo sviluppo del sentimento della differenza etnostorica e politico-identitaria sino a formare un codice che, sia pure con nuovi apporti, è giunto sino a noi” (p. 59).
Il secondo dopoguerra e la travagliata vicenda dello Statuto sardo occupano una parte importante del libro. In particolare è messo in rilievo lo sforzo sardista di ottenere almeno un’ampia autonomia, sistematicamente frustrato dal muro ideologico degli altri partiti della Consulta, in particolare del PCI (in appendice è riportato il secondo schema di progetto statutario “del Governo autonomo della Sardegna” presentato da Gonario Pinna).
Diverse pagine sono dedicate anche alla vicenda Lussu ed alla finale rottura con il “suo” Partito in favore della scelta socialista (ennesimo impulso fusionista nella biografia politica del politico originario di Armungia).
Intanto il Ps d’az vide ridursi notevolmente il suo peso elettorale, schiacciato com’era dal duopolio DC – PCI, che anche in Sardegna si affermò prepotentemente, lasciando agli altri le briciole o poco più.
La delusione del Piano di rinascita e ancor più quella della “specialità” suscitano, già negli Anni sessanta, nuovi impulsi e fermenti, facendo emergere prospettive diverse rispetto a quelle tradizionali, anche sulla spinta di importanti sollecitazioni politico-culturali esterne (il revival etnico ecc.), recepite ed interpretate in maniera originale. Proprio in questo periodo intellettuali come Antoni Simon Mossa – l’esperimento MIRSA è del 1964 – e Giovanni Lilliu – di cui, in appendice, è riprodotto un articolo del 1977 dal titolo “Autonomia e autodeterminazione” – fanno sentire la loro voce sulla base di rinnovati stimoli culturali e con risultati originali, ancora non pienamente compresi.
Tutto questo fermento sfocia negli Anni settanta nel complesso fenomeno del Neosardismo, politico e culturale insieme, che poi sarà alla base dell’impetuoso vento sardista del successivo decennio.
Per quanto riguarda il “vento sardista” e la Giunta Melis, Solinas non si ferma a sottolinearne il “fallimento politico” e la “balbuzie legislativa”. Preferisce soprattutto rimarcare “l’insufficiente elaborazione politico-culturale dentro il Ps d’az … [che] non arriverà mai a sospettare che le isolate posizioni di Mario Melis, culminate nella teorizzazione del sardismo diffuso, siano state in rotta di collisione con la posizione ufficiale del partito …” (p. 136).
Gli ultimi paragrafi del lavoro di Solinas sono dedicati al prepotente irrompere sulla scena politica nazionale della Lega di Bossi e del suo progetto nazionalitario padano, che ripropone sul tavolo politico l’opzione federalista. Una sfida politica questa che, al di là della proposta confederale di Miglio, che a Solinas sembra non piacere (a n. 28, p. 139, la definisce “una più banale ipotesi confederale che di fatto apriva alla secessione”, mah!) proprio il Ps d’az., in quanto unico partito attivo in Italia ad avere sempre e in solitudine portato avanti il tema federalista, avrebbe dovuto raccogliere e che invece non raccolse (pp. 139 – 140). Non raccolse probabilmente perché bloccato dallo scontro di due posizioni interne tra chi di fronte a questa sfida leghista è molto cauto temendo l’inganno per esempio insito negli aspetti fiscali, a tutto vantaggio del Nord; e invece chi vorrebbe “sganciarsi dall’abbraccio mortale dei post-comunisti e dall’asfittico perimetro dell’autonomia cosiddetta speciale, per poter finalmente e di nuovo ingaggiare la battaglia politica del federalismo …”.
Nel Congresso del 1992 peraltro è riproposta in Statuto in maniera chiara e non annacquata l’espressione “indipendenza nazionale”, che invece in quello del 1986 era stata “condizionata”.
Solinas tratta anche dell’istituzione nel 1993 di “Sa Die de sa Sardigna” (pp. 142 e sgg.), della L. 26/1997 sulla ‘Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna‘ (p. 147 e sg.), e, molto brevemente, delle elezioni regionali 1999 nelle quali il Partito sardo corre da solo e dell’espulsione di Efisio Serrenti e del suo gruppo, con cui l’opera si conclude.
“Radici e ali: l’endiadi ritrovata è la migliore assicurazione sul futuro per il partito più longevo d’Italia, e prima formazione politica in Europa a livello di elaborazione federalista”. Così Solinas conclude la sua trattazione, che, ripeto, merita certamente una lettura.
Mancano gli ultimi vent’anni. Forse i tempi non sono ancora maturi per poterne parlare con il necessario distacco. Tuttavia, il Ps. d’az in quest’ultimo arco temporale ha potuto sperimentare con diversi modi e ruoli anche l’alleanza con l’altra parte politica. Nel contempo, tra lotte intestine, sliding doors spesso in rotazione, conquista della presidenza della Regione trent’anni dopo Melis, e un adeguamento strutturale e umano alle nuove realtà associative della politica, che hanno preso il posto dei partiti tradizionali, caratterizzate da un verticismo esasperato, dal primato degli eletti, dall’emarginazione dei militanti e dallo svuotamento funzionale degli organismi partitici, il Partito sardo ha davvero cambiato volto e, forse, anima. Da ciò il dubbio proprio a proposito della “ritrovata” endiadi: senza mettere in discussione le “radici”, le “ali” a molti appaiono invece “icariane”.