Dunque anche Silvio Berlusconi ci ha lasciato. L’ottantaseienne potente e discusso imprenditore-politico milanese, malato da tempo, stavolta non ce l’ha fatta. Ovviamente – ahi, mi ci sto abituando – la sua scomparsa ha subito suscitato reazioni di ogni tipo, da quelle apologetico-encomiastiche di molti esponenti della politica ed opinion-maker, ad altre decisamente meno diplomatiche e composte, apparse sui social. Così s’è potuto leggere tutto e il contrario di tutto. E non poteva essere altrimenti, di fronte ad un uomo tanto divisivo come il Cavaliere.
Ma ci sono dei tratti, almeno nel percorso imprenditoriale e politico di Berlusconi, che possono essere oggettivamente fissati senza timore di smentita. Inizierei da quello televisivo, che, nella seconda metà degli Anni settanta, vide l’allora quarantenne costruttore intuire le grandi potenzialità (non solo) economiche – si pensi al settore, in quel momento ancora monopolizzato dalla Sipra-Rai, della pubblicità – di un mercato radiotelevisivo aperto, quale, soprattutto grazie al fenomeno delle radio libere, stava iniziando ad essere quello italiano. Ed allora ecco Silvio Berlusconi, che aveva già creato la Fininvest e, attraverso questa, acquisito quote de ‘Il giornale nuovo‘, rilevare una piccola tv via cavo, farne Telemilano (58) e poi Canale 5, senza lesinare sugli investimenti e sui nomi a cui affidare le trasmissioni (tra i primi che vi lavorarono mi vengono in mente Mike, Sandra e Raimondo, Corrado, Goggi, Abatantuono ecc.). Conosciamo tutti più o meno gli effetti che negli Eighties ebbe l’impatto delle “Reti Fininvest” sull’Italia post-primocanalerai, e, ancor di più, sui più giovani e gli adolescenti. Dico solo “effetti” senza aggiungervi alcun aggettivo qualificativo: ognuno giudichi come crede.
Ma l’abilità del Berlusconi imprenditore, che, tra l’altro, comprese subito l’importanza di crearsi una sua immagine ben identificabile, in quel periodo iniziò a superare i confini della pura impresa. Infatti, oltre ad inserirsi prepotentemente anche nelle assicurazioni e nelle produzioni televisive, cinematografiche, audiovisive e discografiche, Berlusconi guardò con molta attenzione verso lo sport. Innanzitutto il calcio, in cui, dopo aver ricevuto un “no” alla sua proposta di acquisizione dell’altra squadra milanese, rivolse la sua attenzione al Milan, allora in una situazione societaria difficile, acquistandolo nel febbraio 1986 e trasformandolo, in brevissimo tempo, in una delle società calcistiche più potenti e vincenti del mondo, secondo un modello che poi fece scuola cambiando il football europeo. Ma soprattutto in un veicolo pubblicitario determinante per l’immagine stessa di Berlusconi-leader: infatti, ad un certo punto, Milan per tutti divenne sinonimo di Berlusconi (e viceversa). Poi – vado a memoria – vennero anche volley, hockey su ghiaccio e rugby, tanto che si giunse a creare una vera e propria Polisportiva Milan (durata solo qualche anno).
Ovviamente Berlusconi non trascurò mai il versante politico. E nella Milano da bere politica era sinonimo di PSI. Il binomio Craxi-Berlusconi è anch’esso ben noto ed è durato fino alla caduta del leader socialista in conseguenza di Mani Pulite. E tale repentina fine segnò indelebilmente la storia italiana, perché generò quella grande novità politica e partitica che fu Forza Italia. Partito-azienda, costruito attorno al suo leader indiscusso e indiscutibile come strumento al suo servizio, non aveva niente a che fare con i movimenti politici novecenteschi: per usare una famosa battuta del film ‘Il divo’, lo si potrebbe definire un impero teocratico dove comandava uno solo, appunto Berlusconi. E, come tale, fu imitato non solo nel Bel Paese, da altri movimenti a carattere spiccatamente leaderistico, nessuno dei quali – almeno in Italia – però ha avuto la fortuna dell’originale.
Ma Berlusconi certo non si fermò a questo: infatti, per costruire una forza tale da opporsi efficacemente alle varie versioni arboree della “macchina da guerra” progressista, sdoganò la destra missina, tirò dentro la ruspante lega bossiana, ma anche i democristiani più moderati, sia direttamente come classe dirigente forzista sia nella propaggine partitica scudo-crociata (Casini, Buttiglione ecc.). Questo schieramento, tra alti e bassi, modifiche e adattamenti – e nonostante l’ormai celebre e mai risolto conflitto di interessi – gli consentì, insieme alle audaci innovazioni comunicative e propagandistiche ed alla forza del suo sistema mediatico, di vincere tre elezioni e di fare per tre volte – formalmente quattro – e, complessivamente, per nove anni, il presidente del Consiglio. E, oggi possiamo dirlo, gli è anche sopravvissuto.
Tuttavia in tutti questi anni Berlusconi non ha mai avviato quella famosa rivoluzione liberale, suo cavallo di battaglia contro il pericolo “rosso” fin dal 1994!!! Del resto ci si è progressivamente accorti del fatto che le sue simpatie ideali andavano soprattutto verso quella destra conservatrice e tradizionalista italiana, elettoralmente cospicua e da sempre molto sensibile alla paventata minaccia comunista.
Capitolo molto difficile – e per lui, credo, molto doloroso e logorante – è stato quello giudiziario. Decine di inchieste (anche mafia, P2) e di processi, centinaia di udienze, condanne e assoluzioni, condanne e prescrizioni, e poi ancora quintali di carte, tanti libri, sketch comici, leggi “ad personam”, scandali sessuali finiti anche nelle aule giudiziarie, ecc. ecc. Ma, nonostante tutto ciò, la sua popolarità è sempre rimasta altissima, inesausta. Fino ad oggi! Anche questo è un dato di fatto di cui si deve tener conto.
Sarà la storia a giudicare Silvio Berlusconi e a valutarne, più obiettivamente, l’opera e i risultati. In questo momento rimane certamente un vuoto, e, per chi come me, è milanista, anche il bel ricordo legato ai tanti trionfi e a quella grande società che è stata il Milan di Silvio Berlusconi.
RIP Presidente.