Martedì sera, nella sala dell’Hospitalis di Oristano, per l’organizzazione dei Riformatori Sardi, è stato presentato il libro di Mario Segni, ‘Il colpo di stato del 1964. La madre di tutte le fake news‘, edito da Rubbettino nel 2021. La formula scelta è stata quella del dialogo tra l’autore e un intervistatore, in questo caso il giornalista della ‘Nuova Sardegna‘ Davide Pinna. Ha introdotto la serata il coordinatore provinciale dei Riformatori Sardi Andrea Santucciu, mentre il sindaco di Oristano, Massimiliano Sanna, nel suo breve saluto, ha voluto ricordare i passati legami tra il capoluogo arborense e la famiglia Segni, fin dall’inaugurazione della Casa OMNI il 13 gennaio 1957 da parte della madre di Mario, Laura Carta Caprino Segni.
Da ciò che è emerso dal lungo dialogo tra l’ex leader referendario e Davide Pinna, sarebbe una bufala bella e buona la notizia-scoop, divulgata dall’Espresso con una serie di articoli di Lino Jannuzzi, ad iniziare dal 14 maggio 1967, secondo cui tre anni prima, nel 1964, si sarebbe sfiorato il colpo di stato per iniziativa dell’allora Presidente della Repubblica, Antonio Segni, il padre di Mario, e del generale De Lorenzo, allora Comandante dell’Arma dei Carabinieri, che avrebbero dovuto attuarlo. Mario Segni poggia questa sua drastica conclusione, oltre che su considerazioni personali inerenti alla personalità e moralità del padre ed al suo rispetto per le istituzioni, sopra una serie di argomenti, che possono essere riassunti nei seguenti punti:
– nel 1964 non è accaduto niente di drammatico o di clamorosamente insolito, al di là della crisi politica del primo governo di centrosinistra guidato da Moro e Nenni, risoltasi, seguendo il normale iter, con il reincarico allo stesso Moro che ripropose la stessa formula e gli stessi protagonisti Nenni e Saragat e della trombosi cerebrale che colpì proprio il presidente Segni durante un incontro al Quirinale con Moro e Saragat e che costrinse Segni alle dimissioni nel dicembre dello stesso anno;
– nonostante vari giudici togati e commissioni parlamentari d’inchiesta abbiano, negli anni, scandagliato la vicenda, non è mai stato trovato niente a sostegno della versione golpista proposta dall’Espresso;
– di piani per affrontare particolari emergenze politico-istituzionali, come appunto quello ‘Solo’ o l’analogo redatto dal Viminale, ne sono dotati tutti i Paesi ed è assolutamente normale ed ovvio che sia così;
– il Presidente Segni invece fece proprie e le segnalò al Governo con gli strumenti istituzionali a sua disposizione, le reazioni negative ed il diffuso dissenso in particolare nei confronti dell’operato del ministro del bilancio Giolitti, contro il quale aveva preso pubblica posizione il governatore della Banca d’Italia Carli e che lo stesso suo collega di governo Emilio Colombo stava contrastando;
– negli Anni sessanta, già dopo la crisi Tambroni, altro importante politico accusato di propositi golpisti, la potente macchina mediatico-propagandistica delle sinistre portò avanti una tambureggiante campagna per sostenere l’idea che in Italia l’unica forza politica che difendeva la Costituzione e le istituzioni democratiche era il PCI, mentre la DC era disposta ad utilizzare ogni mezzo per non perdere il potere;
– negli Anni settanta un altro Presidente della Repubblica fu vittima di questa inesorabile macchina mediatica – in prima fila c’era sempre ‘l’Espresso’ – e cioè Giovanni Leone, alla fine costretto alle dimissioni per essere poi riabilitato solo trent’anni dopo;
– alcuni protagonisti, come Nenni, mai parlarono di colpo di stato (nonostante ciò che è stato fatto credere);
– il generale De Lorenzo poco tempo dopo – dicembre 1965 – fu designato alla carica di Capo di stato maggiore dell’esercito dagli stessi uomini che un anno prima avrebbe dovuto o voluto rovesciare, e cioè Nenni, Saragat, Moro ecc;
– il generale De Lorenzo era tenuto in grande considerazione da Moro ed aveva buoni e consolidati rapporti con il PSI.
Oltre a ciò Mario Segni ha accennato alla particolare figura di Lino Jannuzzi ed al suo modo di intendere il giornalismo.
Incalzato dalle domande di Pinna, Mario Segni ha voluto chiarire quello che è un dato inoppugnabile: l’avversione del padre nei confronti della politica economica del primo Governo Moro. Segni jr innanzitutto ha voluto ricordare che il padre, autore della più vasta e incisiva riforma agraria mai fatta in Italia, con espropri complessivamente di oltre un milione di ettari, era stato soprannominato “il pesce rosso nell’acquasanta”. Ha poi rimarcato il fatto che l’Italia, negli Anni cinquanta e prima del centrosinistra, veniva da un periodo di grande espansione e crescita economica (una media annuale di + 6,5 % mantenuta per dodici anni), con una lira stabile e, in alcuni momenti, anche forte. “Questi dati – ha proseguito Segni – sono ascrivibili al merito dei governi centristi da De Gasperi in poi, senza dubbio alcuno i migliori della storia repubblicana italiana”. Il primo governo di centrosinistra, peraltro trovatosi a gestire una situazione economica fattasi difficile per tutta una serie di motivi, vide al suo interno lo scontro tra il ministro del bilancio e programmazione, il socialista Antonio Giolitti (ex PCI e nipote di Giovanni Giolitti, “l’uomo di Dronero”) fautore di una politica di programmazione e di riforme strutturali e favorevole ad una legge organica urbanistica, e il titolare del tesoro Emilio Colombo, che invece riteneva ancora validi i tradizionali strumenti finanziari e monetari e non voleva riforme economiche di sistema volte a limitare (o colpire) l’iniziativa privata. “Le posizioni di Colombo – ha concluso Mario Segni – erano condivise da ampi settori della DC, da altre forze politiche, dal governatore Carli e da larga parte del mondo finanziario ed imprenditoriale italiano. Posizioni condivise anche da mio padre, che, come già detto, intervenne presso il governo secondo quanto gli era consentito dalle prerogative del ruolo“.
Non poteva mancare qualche accenno sui tempi recenti, che videro Mario Segni grande protagonista con le sue iniziative referendarie, e su quelli recentissimi, in cui, tra le altre cose, sta riemergendo una proposta di riforma istituzionale di tipo presidenziale.
Per quanto riguarda la svolta degli Anni novanta, Segni ha sottolineato che in gravssima crisi era il sistema politico italiano con i suoi attori, i partiti, già da tempo ignavi di fronte ad una società moderna e dinamica quale era diventata quella italiana. “In questo senso – ha proseguito l’ex parlamentare – il nostro referendum fu solo la miccia che fece esplodere il sistema. Purtroppo però, una volta demolita la casa vecchia, non si riuscì a costruirne una nuova!”.
Sulle riforme future – ha aggiunto – “siamo ancora nell’ambito delle ipotesi”. In particolare il Presidenzialismo sarebbe una riforma “grossa e impegnativa, tenuto anche conto che l’Italia non ha una tradizione in questo senso cui fare riferimento. E un cambiamento di questa portata richiede tutta una serie di adeguamenti, contrappesi e garanzie”.
Infine Segni ha espresso la speranza che l’Italia possa finalmente superare quella lentezza nel decidere e nell’operare, che è il suo vero tallone d’Achille, e, poi, una grande preoccupazione “per l’arretramento delle democrazie nel mondo, sempre più spesso sostituite da regimi autoritari o dittatoriali e da forti limitazioni alla libertà“.