Tra le notizie che in questi giorni hanno dominato il panorama informativo nazionale, c’è indubbiamente stato l’assassinio di Giulia da parte del suo fidanzato e la fuga, non si sa ancora se pianificata o meno, di quest’ultimo. Un atto criminoso divenuto reato in seguito alla scoperta del cadavere orrendamente sfregiato di Giulia, dopo una settimana di ricerche, anche se i dubbi sull’esito di quell’ultimo, fatale incontro tra i due fidanzati sono stati fin dall’inizio pochi.
E, quando accadono casi così clamorosi e coinvolgenti nella loro tragicità, ecco scatenarsi la corsa a dire la propria, tra politici alla disperata ricerca di visibilità, soliti opinionisti onniscienti, qualche esperto più o meno tale e tante altre tastiere-social, trovando nell’informazione adeguata sponda.
Il risultato è stata l’abituale, desolante confusione delle tante parole inutili.
Lo dico subito: non mi piace parlare di tragedie, per le quali non si può che esprimere dolore, amarezza e, per quanto poco efficace, anche una vicinanza alla famiglia della vittima, che sta convivendo con l’improvvisa, efferata morte di una giovanissima donna, nel fiore degli anni. Tuttavia questa ennesima chiassata politico-massmediatica, mi ha convinto ad esporre, per quel che può valere, cioè molto poco, qualche considerazione a proposito non di questa vicenda, il cui dipanamento riguarda gli organi inquirenti e poi giudicanti, ma di alcuni argomenti che, negli ultimi giorni, sono stati tirati fuori con un certo riscontro, chiedendo subito scusa per il disordine espositivo: infatti scrivo senza canovaccio.
Inizio proprio dal famigerato modello patriarcale, chiamato ripetutamente in causa in quanto portatore di valori sbagliati alla base dei comportamenti violenti maschili nei confronti delle donne. La donna oggetto o comunque elemento gerarchicamente subalterno e come tale in soggezione e disponibilità del maschio.
Ora, pur ammettendo che il modello patriarcale possa essere ancora relativamente diffuso, certo molto meno rispetto agli anni in cui lo scrivente era bambino e adolescente, ritengo che lo stesso incida sulle violenze alle donne soprattutto in ben determinate situazioni: mi riferisco a quelle domestiche, che dunque riguardano quasi sempre coppie non più giovani, cresciute e formatesi in contesti molto diversi da quelli attuali. Cioè quelle della famiglia ancora classicamente e rigidamente intesa nei suoi ruoli e nelle sue gerarchie. Oggi le cose sono un po’ diverse. Faccio un esempio: una parte delle più giovani generazioni, venendo fuori da famiglie molto cambiate rispetto anche a trenta/quarant’anni fa, appare refrattaria alle regole ed al loro rispetto. Mi è capitato di ascoltare diversi insegnanti che sottolineavano deplorandolo l’atteggiamento arrogante ed insolente di qualche discente, dopo un banale richiamo magari per disturbo della lezione o affini. E ho visto, in grandi magazzini o supermercati, imbarazzanti scene di bambini non proprio piccolini, che reagivano istericamente quando non violentemente al diniego del genitore frapposto all’acquisto di un determinato oggetto. Ecc. Insomma, senza generalizzare, sembra che regole, divieti, i famosi “no” siano diventati un po’ (troppo?) … démodé. Lassismo? Permissivismo? Modelli educativi poco incisivi? Un’idea confusamente egoistica di libertà? Disorientamento da parte delle istituzioni familiare e scolastica? Non saprei dire: probabilmente un po’ di tutto questo. Ciò che ho potuto cogliere sono le profonde mutazioni e le grandi differenze esistenti tra i manrovesci ai malcapitati eredi da parte dei “patriarchi” di una volta e i musi duri di certi bambini e ragazzi di oggi persino nei confronti dei loro genitori.
Ora, un bambino di fronte a un rifiuto, anche diventando violento, non rappresenta una concreta minaccia. Ma che cosa può accadere se un giovane, forte, magari palestrato, non accetta il “no” come risposta!?
Poi ci sarebbe anche un altro aspetto, che riguarda proprio le relazioni affettive e la loro conclusione, che spessissimo è la causa scatenante delle reazioni più violente: la comunicazione in primis nella coppia ma anche con alcuni attori vicini. Parto dal presupposto che le persone non sono, come invece qualcuno sembra pretendere, interruttori, per cui cliccandoci sopra si accende o si spegne … un sentimento, soprattutto se forte, o una storia, soprattutto se lunga. Invece non è inusuale sentire che che da un giorno all’altro il/la coniuge/compagno/a sia diventato/a una *****, un rifiuto ingombrante, per cui diventa necessario premere l’interruttore o chiamare gli addetti per il ritiro fuori … di casa. E come avviene il “licenziamento”? Ovviamente siamo moderni: il messaggino a volte vocale, altre scritto, qualche volta condito con un po’ di psicologia “a tipu” talk-show. Ma che cosa può accadere se l’altro/a non la prende bene??? …
Questo è solo uno degli esempi di ciò che può succedere nelle relazioni e che può incidere, a volte anche tragicamente, sulla loro conclusione. Ora affrontare e superare situazioni come queste non è né cosa facile né “leggera”, se non si è adeguatamente attrezzati e corazzati caratterialmente. Lucidità, autocontrollo, possibilità di rivolgersi a qualcuno vicino per un aiuto/consiglio/conforto, anche una certa autostima sono “cose” che aiutano ad accettare e superare la conclusione, il distacco, e che però non tanti hanno, soprattutto se non ci sono già passati, né trovano in farmacia o su google.
Sotto le forche caudine dei commentatori sono immancabilmente finite anche la famiglia e la scuola. Allora, intanto, prima di parlare di “famiglia” e del suo comunque fondamentale ruolo educativo, al giorno d’oggi bisogna fare opportune specificazioni, perché, pur essendo spontaneo pensare alla famiglia tradizionale, la stessa ormai non è più maggioritaria. Spesso la vera “famiglia” di un bambino sono i nonni e di un ragazzo gli amici e lo smartphone! In più, in una situazione in cui ci sono mille problemi, preoccupazioni, “casini” ecc., non è facile per un genitore, soprattutto quando è solo, star vigile sul bambino/ragazzo. Questi, a sua volta, può trovare facilmente altri riferimenti “educativi” al di là dei genitori/nonni e degli insegnanti: fino ad una ventina d’anni fa soprattutto la tv, oggi, come già accennato, soprattutto internet, che può consentire l’accesso a tutto o quasi, senza filtri o adeguata preparazione, ma anche certi tipi di videogiochi, che richiederebbero un più prudente e graduale approccio.
In generale poi, benché apparentemente non sia così, in realtà dei nostri giovani sappiamo poco. E, forse, distratti da tante cose, non cogliamo determinati segnali anche alquanto rumorosi. Per esempio da appassionato di musica mi è capitato di dare uno sguardo/ascolto a certi generi che oggi vanno molto tra i ragazzi. Beh, ho sentito/letto testi, per quanto riguarda la considerazione verso la donna e, in generale, sull’idea di ciò che significa e rappresenta il “femminile”, davvero pesanti!!! E sono pezzi che “vanno”: evidentemente riescono ad esprimere un qualcosa che non è, che non può essere solo occasionale “licenza poetica” di un artista alla ricerca di notorietà con lo scandalo (tra l’altro oggi difficile da provocare).
Di fronte a tutto questo cosa si può fare? Una cosa certamente: creare sempre, almeno tra genitori e figli, quel clima di fiducia per cui questi ultimi, in caso di difficoltà, di problemi, possano aprirsi e parlare con mamma e/o papà. E penso che le stesse scuole, per esempio con particolari figure, come lo psicologo, di cui finalmente e concretamente si parla, possano trovare nuovi modi d’incontro con i giovanissimi, che poi sono – non deve essere mai dimenticato – il nostro futuro.
Infine è saltata fuori una futura nuova materia scolastica: l’educazione affettiva. In questo caso, evito commenti, perché, onestamente, non ho ben compreso di che si tratta. Se si intende fornire corretti strumenti conoscitivi riguardo ai vari aspetti che determinano la crescita e la maturazione della persona, sia dal punto di vista caratteriale sia da quello sessuale – aspetto da non sottovalutare mai! – può essere molto interessante e stimolante aprire un percorso per la definizione di questa disciplina a livello scolastico e anche universitario. Tra l’altro potrebbe essere anche un’utile occasione per aprire un canale di confronto dialettico con i ragazzi. Se invece si tratta di un’ennesima boutade del genere “reintroduzione della naja”, o l’occasione di sistemare qualche disoccupato, beh direi di lasciar subito perdere!
Un’ultima considerazione riguarda la proposta dell’introduzione del femminicidio come nuova fattispecie di reato. Intanto, come la storia e la cronaca ben dimostrano, il codice penale come deterrente ha sempre funzionato poco. Aggiungo io: funziona ancor meno in questo tipo di reati, dove entrano in scena/campo aspetti e fattori psichici determinanti per le azioni contro gli altri ma anche contro se stessi. Del resto, la proposta pare somigliare tanto all’omicidio stradale, che mi sembra sia stato un mezzo fallimento, almeno dal punto di vista pratico e positivo.
Io invece credo che la migliore prevenzione stia nell’attenzione dell’ambiente che ci circonda. Purtroppo i contesti sociali mi pare che stiano diventando sempre più simili a concentramenti amorfi di solitudini precariamente inquiete e di egoismi frustrati e perciò irosi. Persino in piccole realtà può accadere – che so – di non vedere per giorni il proprio vicino, senza che la cosa desti nessun allarme, salvo poi agire quando è troppo tardi! Ecco, bisognerebbe tentare in qualche modo di invertire la tendenza e di riconsiderare positivamente il vivere sociale a scapito del vivere “social”.