Venerdì 25 gennaio, nell’ambito del ciclo di incontri che l’associazione ‘Lucio Abis’ sta dedicando alla conoscenza dei cosiddetti “problemi diffusi” e alle possibili soluzioni, nella sala di Sant’Antonio la protagonista è stata – ahinoi! – la povertà. Una parola che in questi grigi tempi ritorna a far paura a tanti. Infatti ogni giorno di più, ci si accorge dei deleteri effetti di una regressione economica e, conseguentemente, sociale che, anno dopo anno, si fa sempre più pesante e drammatica. E, nel contempo, si assiste al deprimente spettacolo di una politica apparentemente impotente, che anzi sembra far di tutto per non affrontare alla radice gli ormai annosi e strutturali problemi e limiti che affliggono il sistema Italia. Invece si persiste e persevera sempre con la facile, comoda quanto inutile se non dannosa strategia dell’illusorio contenimento delle spese, delle paghe basse, dei tagli, delle razionalizzazioni, degli accorpamenti insensati, dell’oggi come mai prima vasto assortimento di bonus, gratifiche, premi ecc. Non a caso, nelle sue conclusioni, l’ex assessore e consigliere regionale Gianvalerio Sanna ha rimarcato che ” usare gli strumenti del passato senza vedere e capire dove sta andando il mondo, ci fa essere subito e inesorabilmente perdenti“. Poco prima il presidente di Sardegna Solidale Giampiero Farru aveva senza termini invitato tutti a ricordare che “la, anzi le povertà non sono fenomeni casuali o naturali, ma la conseguenza e il risultato di scelte politiche precise e l’espressione più evidente di una società malata e ingiusta“.
I numeri e le notizie riguardanti la povertà, sia assoluta sia relativa e intesa innanzitutto come disuguaglianze (territoriali, di genere, intergenerazionali), crisi demografica (culle vuote, indici di vecchiaia sempre più alti – Oristano è in testa alla classifica nazionale, ma non vince nulla! – emigrazione giovanile, famiglie allo sbando ecc.), dispersione scolastica esplicita – abbandono degli studi – ma anche implicita (quella che riguarda chi ha un titolo di studio, ma non le competenze afferenti a quel titolo), mancanza di lavoro o sua precarietà ecc. li hanno forniti Raffaele Callia, responsabile del servizio studi e ricerche della Caritas sarda e, per ciò che riguarda la realtà oristanese, don Maurizio Spanu, cappellano del carcere di Massama e direttore dell’ufficio diocesano Migrantes. E sono numeri tanto freddi quanto preoccupanti, sia perché riguardano un numero considerevole di persone sia perché, quando non aumentano, rimangono comunque stabili, indizio esplicito di un incancrenimento del fenomeno.
Ma come affrontare la povertà e le sue conseguenze? In questo momento a farsi carico dei bisogni primari di chi è in difficoltà spesso sono le associazioni di volontariato, che, però, stanno attraversando un momento quantomeno di incertezza, sia a motivo dei mutamenti demografici – i veterani invecchiano, mentre le nuove leve sono sempre meno – sia, soprattutto, per il nuovo Codice del Terzo settore, che, con l’introduzione di regole più stringenti e di ulteriori e complessi gravami burocratici, ha messo in grande difficoltà il settore, in particolare a livello periferico e in ambito locale. A questo proposito Farru, criticando duramente questa riforma calata dall’alto, ha ricordato che negli ultimi 5 anni in Italia il numero dei volontari è calato del 15 %, cioè di un milione, mentre in Sardegna sono scomparse almeno 600 associazioni (da 1900 a 1300 circa). Occorre dunque un’inversione di rotta, che attui quanto la stessa nostra Costituzione, come ha ricordato la presidente di ‘Domus Oristano’ Luisanna Usai, contempla all’articolo 118, e cioè la “sussidiarietà orizzontale” pubblico – privato per il perseguimento di indirizzi comuni e che il pur infelice Codice del Terzo settore recepisce laddove – art. 55 – parla di “coprogrammazione“, “coprogettazione“, “accreditamento” e convenzioni. Tutto ciò che, invece, soprattutto nella fase di programmazione e progettazione, gli enti pubblici raramente fanno preferendo affidarsi alla prassi dei bandi preconfezionati sulla base della possibilità di intercettare le risorse a questi collegate. E occorre – secondo Gianvalerio Sanna – che almeno in certi ambiti ( edilizia popolare, università) la parte pubblica riprenda in mano la situazione. A questo proposito Sanna ha sottolineato che “dal 2013 in Sardegna non c’è più stato nessun investimento in nuova edilizia residenziale pubblica, ma solo in manutenzioni, nonostante oggi ci siano almeno 4000 domande d’alloggio popolare giacenti senza risposta” e che le stesse Università sarde sono a rischio di “estinzione” per il costante e crescente calo di iscritti, i cui effetti negativi hanno pesantemente investito già le scuole superiori.
Tutti d’accordo sulla necessità di superare la logica puramente assistenzialistica – che però ha sempre una buona resa elettorale! – investendo di più e meglio in istruzione e formazione professionale. Quest’ultima però deve essere strettamente collegata con le richieste che provengono dalle imprese soprattutto di manodopera specializzata, che sovente non si trova. Così come sarebbe molto importante implementare tutti quei servizi e punti informativi che permettano alle persone di conoscere le possibilità di accesso a benefici, finanziamenti, percorsi di formazione ecc., spesso ignoti ai più.
Anche il discorso della genitorialita’ e delle sue problematiche deve essere affrontato – ha sostenuto Luisanna Usai – in termini formativi, tenuto conto degli ormai molti casi di gravi problemi a livello di affettività familiari e di rapporti genitori – figli.
Per far tutto ciò – ha concluso Sanna – il legislatore deve capovolgere la prospettiva, studiando e producendo norme che riconoscano le povertà come fenomeni sociali, così da superare la vecchia logica del provvedimento “emergenziale” che rinvia alle calende greche l’individuazione e l’attuazione di interventi realmente risolutivi. Ma è altrettanto importante una svolta di tipo culturale, tentando di arrestare – ha sottolineato Farru – quella montante “cultura dell’indifferenza, che poi inesorabilmente conduce alla diffidenza, poi alla paura, infine all’ostilita’ ed alla violenza, nei confronti del forestiero ma anche di chi è o è diventato marginale“.
Una breve riflessione sul tema, a mio avviso, non può prescindere dall’analisi della nostra realtà economica, tenendo conto che, persino in Sardegna, laddove – mi riferisco per esempio ad Olbia – col tempo si è formato un certo tessuto imprenditoriale, la città ed il suo territorio ne hanno risentito positivamente: nessuna crisi demografica, servizi in costante incremento, buone possibilità di occupazione, anche qualificata, ecc. Invece, dove, nonostante le buone potenzialità, l’economia è rimasta ferma, quasi esclusivamente costituita dalle opportunità d’impiego offerte dalle amministrazioni e dai servizi pubblici, dalla rendita e da un po’ di terziario – in particolare grande distribuzione – con un tessuto imprenditoriale fragile e prudente – è questo il caso di Oristano – la crisi appare insuperabile con tutte le gravi conseguenze di cui sopra. Ma, per far sviluppare una diversa economia locale, un’economia vivace, attiva, innovativa, occorre innanzitutto cambiare la mentalità delle persone, agendo in particolare sulle nuove generazioni, che sono il futuro di Oristano e della Sardegna. E anche in questo aspetto il volontariato può recitare un ruolo molto importante.