POETA, SCRITTORE, TRADUTTORE, INSEGNANTE, VIAGGIATORE, … QUATTRO CHIACCHIERE CON GIANNI MASCIA [ADRIANO SITZIA]

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Sabato prossimo, 22 marzo, nell’ambito degli appuntamenti letterari e musicali organizzati da Shardano, presso ‘Temptation‘ in via Biasi ad Oristano, sarà di scena il poeta Gianni Mascia. Cagliaritano doc, Mascia è un autore alquanto interessante a motivo dell’originalità dei suoi versi e della sua scrittura, delle contaminazioni linguistiche, dei meticciati tra arti e tra generi diversi che caratterizzano spesso le sue proposte e collaborazioni artistiche. Una varietà di interessi e di passioni che la odierna, improvvisata chiacchierata fatta con lui ha messo bene in evidenza.

Quando, come e perché ti sei avvicinato alla poesia e, in generale, alla scrittura, come oggi va di moda dire, “creativa”?

Innanzitutto sono cresciuto in una famiglia di grandi lettori. Posso senz’altro dire che i libri mi hanno accompagnato lungo tutto il mio percorso di vita fin dall’infanzia, un po’ come il pane o la pasta. Ma un ruolo determinante nell’unire alla lettura anche la scrittura, lo ha avuto la mia maestra, Maria Bertolino Solla, appassionatissima di musica e di poesia, che appunto mi ha trasmesso le sue passioni. Ricordo bene in particolare il percorso poetico che ci fece fare in quinta elementare: Foscolo, Leopardi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio … Da queste basi ben presto ho iniziato a mettere su carta le prime incerte prove, diciamo così i primi malfermi esperimenti in versi. E, da allora, fuorché un certo periodo della mia vita, immediatamente dopo le superiori, non ho più smesso, allargando ovviamente anche l’orizzonte delle letture e delle conoscenze, al Novecento, soprattutto ad alcuni grandi poeti stranieri di lingua spagnola: Neruda, Jimenez, Lorca ecc.

Hai detto “fuorché un certo periodo della mia vita …”: che è accaduto in tale periodo giovanile?

E’ accaduto che all’epoca ha prevalso prepotentemente un’altra mia passione: viaggiare, conoscere altre realtà, culture e anche lingue (in primis lo spagnolo). Infatti così ho potuto percorrere diversi paesi europei, Francia, Svizzera, Olanda, Spagna, ma mi sono innamorato in modo particolare delle Ande. Anche adesso, a distanza di tanti anni, riesco a respirare quelle atmosfere andine così particolari, direi magiche!

Poi, quando sei ritornato “a casa” …

Ho continuato a viaggiare anche senza spostarmi, ma interpretando il viaggio come un …, ecco come un camminare scalzo nei sentieri del sogno. E questa idea e’ stata la base, che mi ha fatto percorrere un lungo sentiero di scrittura fin dalla fine degli anni Ottanta e dalla collaborazione – era il 1991 – con gli amici di ‘Erbafoglio’, una rivista, una “voce” molto importante, che oggi fortunatamente ha ripreso le sue pubblicazioni, dopo un ventennale silenzio. Poi ho fatto diverse altre cose: ho insegnato nelle scuole per una dozzina d’anni, ho organizzato eventi, ho fatto politica …

Politica!?

Eja, anche politica. Tra l’altro sono stato consigliere di circoscrizione eletto da indipendente nelle liste del PS d’Az. All’epoca il Sardismo sembrava poter far fare alla nostra autonomia quel salto di qualità, che poi, invece, non c’è stato.

E la passione per la politica donde t’è venuta?

Innanzitutto mio padre era un grande lettore e conoscitore di Antonio Gramsci, diventato anche per me un punto di riferimento. Poi, per tanti ragazzi di quella generazione la politica era pane quotidiano. Tra l’altro io ho studiato al ‘Pacinotti‘, forse, anzi senza forse, il liceo all’epoca piu’ politicizzato di Cagliari. Ricordo bene quegl’anni, i Settanta, in cui la politica era ideologica, e la contrapposizione, la simpatia, l’appartenenza partitica erano davvero vissute con tanta passione, a volte anche troppa, comunque ben diversamente dall’apatico distacco, dall’indifferenza di oggi.

Oggi fai letteratura e cultura 365 giorni su 365?

Praticamente sì, nel senso che accanto all’attività di scrittura, con tanta convinzione ho voluto affiancare quella di divulgazione e di diffusione della passione per la cultura, per la lettura e – perché no? – anche per la scrittura, offrendo poi ad autori nuovi o emergenti degli spazi dedicati a far conoscere le loro opere. Penso a ‘Coloris de limba‘ o alla Scuola popolare di poesia, che ho aperto nel 2015 e portato avanti nel mio quartiere, Is Mirrionis. Un quartiere a cui sono legatissimo, perché, nonostante le sue tante problematiche e criticità, mi ha aperto occhi, cuore e mente all’umanità nel senso più ampio e più vario del termine.

E ti ha fornito anche materia su cui scrivere?

Indubbiamente. In particolare le storie e i personaggi di ‘Tzacca Stradoni‘ provengono da questo mondo popolare, socialmente periferico ma vivo e pulsante, nel bene e nel male. A questo proposito, se me lo consenti, voglio citare anche un’iniziativa, un festival, a cui tengo moltissimo e che sto portando avanti, insieme con un gruppo di amici, dal 2018: si chiama ‘LibrAmare‘, e lo facciamo in estate, a partire dalla meta’ di giugno, al Poetto per otto giovedì. ‘LibrAmare‘ mette insieme letteratura e inclusione, unisce autori e volontari che si occupano di sostegno alle fragilità. Quella di quest’anno sarà l’ottava edizione.

A proposito di libri, in Italia ogni anno “escono” almeno 80.000 titoli. A fronte di questi numeri alquanto grossi, ci sono i dati relativi ai lettori e ai frequentatori delle biblioteche, sempre poco incoraggianti. Che opinione ti sei fatto di tutto ciò, anche sulla base della tua importante esperienza nel settore culturale?

Tema complesso e difficilmente riassumibile. In generale ho notato che c’è una grande e diffusissima voglia di parlare, ma non c’è altrettanta voglia di ascoltare. E alla fine si fa solo tanto, diffuso e confuso rumore. Nello specifico, la scrittura presuppone la lettura, molta lettura. Ai miei corsi sono venute non poche persone, che si presentavano già con un libro fresco di stampa, edito a loro spese – anche qualche migliaio di euro – da editori, che, senza nessuna valutazione nel merito del risultato artistico (ma solo quella del loro immediato ritorno economico), sfruttano ciò che, a volte, e’ solo una illusoria ossessione di pubblicare ad ogni costo da parte di questi poeti in erba. Ci vuole passione ma serve anche un percorso formativo, che presuppone letture, studio, tempo, prove, finché non si raggiunge una personale, originale cifra stilistica. Tuttavia questa frettolosa “improvvisazione” oggi riguarda non solo la poesia e, in generale la scrittura, ma un po’ tutte le arti e – ahinoi! – non solo le arti: forse è figlia dei tempi.

Nella tua produzione letteraria hanno un posto importante le traduzioni, tra cui quelle in sardo di classici della letteratura e della poesia. Ecco, quando ti cimenti con una traduzione o lavori a un testo in limba, quale sardo usi? E cosa pensi dei vari tentativi di giungere ad una koinè?

Intanto ti do un’anteprima: sto lavorando alla traduzione in sardo di una serie di liriche di uno dei più grandi e più grandemente sottovalutati poeti italiani del Novecento: Bartolo Cataffi. Isolano come noi – era siciliano – e anch’egli, come me, grande viaggiatore. Solo oggi, a mezzo secolo dalla sua prematura scomparsa, lo si sta riscoprendo. Ricordo sempre le sue parole polemiche contro certa élite critico-letteraria, che, nonostante tutto, ne snobbava costantemente l’opera.
Ti chiedo scusa per il lungo preambolo, ma ci tenevo a ricordare un grande poeta. Allora il mio sardo letterario è il risultato della conoscenza che ho progressivamente acquisito delle principali varianti e sottovarianti, che mi ha portato ad elaborare appunto una koinè. Ma quando parlo, beh uso il sardo, che ho ascoltato e parlato fin da bambino, cioè il campidanese di Cagliari. I vari progetti LSU, poi LSC e successive integrazioni, soprattutto il primo, che praticamente non considerava proprio la variante campidanese, che è la più parlata nell’isola, sono certamente meritori, ma devono essere sempre condotti con equilibrio, ricordando che la lingua è una cosa viva e che vive e muta nell’uso e con l’uso.

Allora appuntamento a Oristano il 22?

Mi raccomando: non mancate!